Maria Luisa Capaldi, classe 1953, sino alla primavera del 2010, in terra d’Abruzzo, nel comune di Celano, coltivava ortaggi, (inclusi i meloni). Ortaggi in foglia, a fusto, a frutto, in radici, bulbi e tuberi in piena aria (escluse barbabietola da zucchero e patate). Da quel momento la sua vita alla Camera di Commercio del Gran Sasso d’Italia sparisce nel nulla: attività cancellata scandisce il sistema informatico delle imprese. Nei radar finanziari ricompare, però, il 23 ottobre del 2012. Il database la registra come amministratrice unica di una società dalle inconfessabili ambizioni eoliche.

Dagli ortaggi alle pale

Dagli ortaggi alle pale che "arano” il cielo il passo è breve. La ragione sociale non lascia adito a dubbi: Vcc Energia, società per azioni per la costruzione e realizzazione di impianti industriali per la produzione di energia attraverso fonti rinnovabili e l'attività di studio e assistenza tecnica. Sede, manco a dirlo, alle pendici del Gran Sasso, nella Contrada Sardellino, ad Aielli, sempre in Abruzzo. Di questa signora passata di punto in bianco dalla produzione di tuberi alla coltivazione del vento si sa poco o niente. Gli incroci societari che la legano alla società di cui è a capo sono un labirinto, tutto legato alla famiglia Villa, potentato locale che spazia dalla Sicilia all’Abruzzo con un pallino fisso: la Sardegna. Le società collegate o riconducibili alla holding della famiglia di Celano d’Abruzzo non si contano, molte in liquidazione, altre che attendono la giusta occasione.

Il Natale di Lady Vento

Cosa c’entri la lady del vento con la Sardegna, però, non è dato sapersi. Un dato è incontrovertibile, secondo tutti i riscontri in nostro possesso, subito dopo il Santo Natale e Santo Stefano dello scorso anno l’ex coltivatrice di ortaggi ha fatto scattare l’operazione Montiferru. Missione riservata nell’Isola dei Nuraghi, ignorando, forse, persino l’esistenza di quei monumenti di 3.500-4.000 anni. I passaggi sono delicati, nella tempistica e nei contenuti.

La guerra con Eni

C’è da mettere spalle al muro una società, Infrastrutture S.p.A., che per prima, il 20 dicembre, si è candidata a sbancare il vento del Marghine e della Planargia. L’obiettivo è chiaro: portarsi a casa, in ogni modo, i terreni necessari per conficcare la bellezza di 56 pale eoliche nel bel mezzo di un museo nuragico a cielo aperto, con lo sguardo rivolto alle ferite ancora profonde del grande incendio che ha devastato il Montiferru. Lo schema di gioco è scritto su carta bollata con tanto di marche di Stato da apporre in caso di firma. La partita è sintetizzabile: convincere allevatori, proprietari terrieri, agricoltori e ogni possibile interlocutore interessato a cedere, con compravendita o con contratti di servitù, i terreni necessari a costruire plinti e fondazioni per infilzare in quel proscenio le mastodontiche pale da 206 metri d’altezza.

Ovidio, Demetrio...

Davanti alla signora del vento sfilano in tanti, da Lamberto a Demetrio, da Giovanni a Giuseppino, da Raffaele a Ovidio. Il dispositivo dei contratti in nostro possesso è simile per tutti: cambiano solo nomi e cognomi, superfici e importi, molto spesso con prezzi ad ettaro diversi l’uno dall’altro. Le premesse del contratto sono esplicite: la società è intenzionata a sviluppare nei comuni di Scano di Montiferro e Sindia un progetto per la produzione elettrica da fonte eolica. Il meccanismo è scandito da due paragrafi eloquenti. Il primo: «In caso di ottenimento dell’autorizzazione unica la società avrà titolo per richiedere la costituzione coatta delle servitù sul terreno, ovvero “procedura d’esproprio”». Il secondo: «È tuttavia interesse della società addivenire, ove possibile, all’acquisizione bonaria della disponibilità del terreno e la costituzione delle servitù attraverso il perfezionamento di appositi accordi con il proprietario». La scelta va ben oltre l’acquisizione bonaria.

Seimila euro per ettaro

Tra un paventato esproprio “militare” delle aree, con pagamenti e tempi legati alla burocrazia di Stato, e un’elemosina immediata, la strada è spianata. I compensi sono tutti scritti nei “contratti” in nostro possesso. A Giovanni, allevatore di Sindia, per il patto siglato il 27 dicembre scorso, gli promettono 12 mila euro all’anno, per trentanni, per 20.771 mq, ovvero meno di seimila euro a ettaro. A Demetrio, sempre di Sindia, in cambio di nemmeno mezzo ettaro gli promettono l’acquisto perpetuo del terreno in cambio di 7 mila euro, tutto e subito, sempre dopo l’approvazione dell’invasione eolica. A Maria Laura, in cambio di una servitù di 19.764 metri quadri, nemmeno due ettari, le “assicurano” 12 mila euro all’anno, anche in questo caso sei mila euro a ettaro. La sequenza della vigilia di Capodanno è infinita, come se tra il 27 e il 30 di dicembre dovessero sbancare l’intero Marghine e Planargia.

Il jackpot del vento

Particelle e pale da piazzare ovunque, soldi, prebende ed elemosine da garantire in cambio di quelle firme incerte su pezzi di carta che per la signora degli ortaggi valgono come un jackpot milionario. Come una schedina pagata pochi euro che, in caso di approvazione ministeriale della centrale eolica, ti fa diventare miliardario. Sì, proprio miliardario, senza enfasi da cifre sparate a caso, ma con calcolatrice alla mano. Il “sistema eolico”, per la prima volta, è scandito dalle ammissioni di uno dei rappresentanti legali di quest’operazione.

Il documento «chiave»

Il documento, di cui pubblichiamo uno stralcio, è la prova provata del fatto che agli allevatori andrebbero misere elemosine e a loro, ai signori del vento, cifre da capogiro. A scardinare il forziere del «sistema del vento» è Cesare Villa, che si dichiara rappresentante legale della Vcc Scano-Sindia srl, la società che vorrebbe realizzare tra Sindia e Scano Montiferru un parco eolico da 336 megawatt, pari a 56 pale eoliche da 206 metri d’altezza. È lui che scopre le carte finanziarie. Nel documento che invia a Roma per tentare di spiazzare la società dell’Eni, la Hergo Renewables, che si vorrebbe insinuare nelle stesse aree del Montiferru, spiattella numeri e confronti, guadagni e fatturati.

Il «sistema» eolico

Lo confessa proprio Villa in persona, anzi lo mette nero su bianco: quelle 56 pale conficcate tra nuraghi e paesaggi scolpiti nell’identità di quest’Isola gli farebbero generare un fatturato annuo di 67 milioni di euro, ovvero un milione e duecento mila euro a pala per ogni anno. Per cominciare a fare un primo raffronto dell’operazione con le elemosine distribuite a piene mani tra Natale e Capodanno scorsi basta comparare il guadagno di una pala con quelle misere promesse economiche fatte agli allevatori della zona. Se ogni pala avrà bisogno di “arare” un ettaro, vorrà dire che il signor Giovanni, l’allevatore di Sindia che cede la servitù, otterrà per il “prestito” di quel suo terreno un’elemosina di sei mila euro all’anno, a fronte di un milione e 200 mila euro che la signora che fu degli ortaggi incasserà ogni anno per una sola pala.

Elemosine & miliardi

Proviamo a moltiplicare l’operazione per trent’anni, quanti ne prevede il contratto. Giovanni, l’allevatore di Sindia avrà incassato appena 180 mila euro, mentre Maria Luisa, la Capaldi venuta da Celano d’Abruzzo, intascherà la bellezza di 36 milioni di euro per ogni pala. In pratica i signori del vento incasseranno il 99,5% del guadagno di una pala e lo 0,5% resterà ad “un solo” allevatore di Sindia. Tutto il territorio, invece, perderà integrità paesaggistica e valore ambientale. A far spavento sono le macro cifre di quest’operazione: se la “Villa-confessione” arriva a dichiarare che per quelle 56 pale, ogni anno, fatturerebbe 67 milioni di euro significa che in trentanni arriverà a generare incassi per la stratosferica cifra di due miliardi di euro.

Affare da 4 miliardi

In pratica con le 111 pale pianificate dalle sette centrali eoliche tra Santu Lussurgiu, Scano Montiferro, Sagama, Tinnura, Suni, Sindia, Macomer e Borore, da Enel a Eni, da Vcc Energy a Wind Energy, i signori del vento incasserebbero oltre quattro miliardi di euro in trent’anni. Cifre da capogiro che lasciano comprendere il vortice infinito di pale e denaro, tutto da consumarsi sulla testa dei sardi e della Sardegna. Qui, in questa esclusiva terra alle pendici del Montiferru, resterebbe solo la devastazione di paesaggi e beni archeologici. Dopo il fuoco ora avanzano impunite le speculazioni.

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