Un giovane, ospite del Cpr di Macomer, ha ingoiato delle batterie e anche una lametta, oltre procurarsi ferite in tutto il corpo.

È uno dei tanti episodi che si sarebbero verificati all'interno della struttura di Bonu Trau, denunciati in un documento dall'associazione "No Cpr".

Non solo. Il giovane, portato in ospedale, dopo essere stato medicato e visitato, è stato ricondotto nel centro e ha ripetuto lo stesso gesto il giorno successivo.

La notte del 26 agosto, inoltre, per protesta due persone sono salite sul tetto della struttura e uno di loro si è fatto male in una caduta. «Questo accade nell’indifferenza generale - scrive in un documento l'associazione "No Cpr Macomer" -  il buco nero del Cpr di Macomer continua a perpetuare il suo sistema di violenza e sopraffazione, ai danni di persone la cui unica colpa è quella di non avere un foglio che le autorità italiane rendono difficilissimo ottenere e mantenere, quale il permesso di soggiorno».

L'associazione ancora denuncia: «Persone rinchiuse fino a 18 mesi in condizioni inumane, nel caldo asfissiante, con cibo scadente, senza adeguata assistenza legale e sanitaria, come nei campi di concentramento».

Secondo l'associazione, testimonianze avrebbero segnalato urla e rumori, tanto da far arrivare sul posto un'ambulanza. Il documento dell'associazione continua: «Si segnala la presenza di persone che non dovrebbero essere rinchiuse per le condizioni di fragilità sotto il profilo sanitario, che le rendono totalmente inidonee al trattenimento per il regolamento stesso dei Cpr, ma la cui liberazione dipende da una certificazione medica che difficilmente viene prodotta. Si continua a segnalare l’illegale sequestro dei telefoni cellulari delle persone trattenute, che pone dei limiti alla loro capacità di comunicare con l’esterno. Il Cpr continua ad essere un luogo totalmente al di fuori del diritto e della minima umanità, un orrore che si perpetua sotto i nostri occhi ormai da 5 anni, sempre con le stesse odiose caratteristiche. Per questo – conclude la nota - non ci stanchiamo di chiedere la chiusura di questo abominio».

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