Quarto giorno di sciopero della fame per Mario Sanna, nuorese che nel terremoto di Amatrice perse il figlio Filippo.

L’uomo ha iniziato una battaglia per l'istituzione di un fondo per i parenti delle vittime delle grandi catastrofi, inviando una lettera alla premier Giorgia Meloni.

«Sono uno dei sopravvissuti del sisma di Amatrice, sopravvissuto anche a Filippo - scrive - il mio primogenito di soli 22 anni, ho iniziato lo sciopero della fame ad oltranza per chiedere l’istituzione di un fondo per i parenti delle vittime delle grandi catastrofi».

Ricorda i precedenti in favore dei parenti delle vittime di Viareggio e Rigopiano. «Mi auguro accolga la legittima istanza, ponendo fine ad un sacrificio davvero assurdo per un paese che si reputa civile come il nostro. Prima ancora di immaginare e pianificare qualsiasi ricostruzione, si dovrebbe pensare alle macerie che rimangono, inamovibili, nelle anime dei sopravvissuti». 

La battaglia di Sanna trova la solidarietà del sindaco di Nuoro, Andrea Soddu, che esprime vicinanza al nuorese. «Desidero esprimere a nome di tutta l’amministrazione la mia profonda solidarietà a Mario Sanna, un nostro concittadino, che si trova al quarto giorno di sciopero della fame», afferma il sindaco. «Mario Sanna - prosegue - ha intrapreso questa protesta per una causa nobile: l'istituzione di un fondo a sostegno dei parenti delle vittime delle grandi catastrofi».

La storia di Mario è segnata dalla tragedia del terremoto di Amatrice, in cui perse il suo amato figlio, Filippo. Ha iniziato uno sciopero della fame senza termine, con l'obiettivo di sensibilizzare sulla necessità di creare un fondo di supporto per le famiglie colpite da disastri di tale portata.

«Il fondo richiesto da Mario - sottolinea Soddu - rappresenterebbe un segno di dignità, compassione e solidarietà da parte dello Stato e della nostra intera comunità. Mi unisco all'appello di Mario e alla sua legittima richiesta affinché il governo prenda in considerazione questa istanza e metta fine a un sacrificio che appare assurdo in un paese che si considera civile come il nostro».

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