L’ultimo arresto di Mesina: «Era la notte di San Graziano»
Il comandante dei Ros di Cagliari Giorgio Mazzoli: «Mi disse “siete stati bravi”»Per restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
«Quando gli notificai l’arresto declinò le sue generalità e poi si chiuse nel silenzio. Solo quando gli facemmo notare che era la notte di san Graziano commentò in sardo: “Vuol dire che la buona stella non c’è più. Siete stati bravi”».
Il tenente colonnello Giorgio Mazzoli, comandante del reparto anticrimine di Cagliari del Ros, è l’ufficiale che alle prime ore del 18 dicembre 2021 arrestò Graziano Mesina in una casa di Desulo. Quell’ultima latitanza era cominciata il 2 luglio dell’anno prima, mentre la Cassazione rendeva definitiva la condanna a 24 anni per traffico di droga. Quando ricorda quella «attività complessa svolta da una squadra complessa, visto che il Ros di Cagliari ebbe il supporto dei reparti centrali del raggruppamento operativo speciale di Roma, del Gis e dell’Arma territoriale», anche più delle difficoltà investigative a Mazzoli tornano in mente le risorse che Mesina sapeva trarre dal serbatoio del simbolico, dal deposito di una subcultura dura a morire.
Qual era la sua forza?
«Negli anni era riuscito a costruirsi un’aura che aveva fatto presa nell’immaginario collettivo. E almeno in alcuni settori della popolazione barbaricina riscuoteva un forte consenso che si traduceva in una strettissima omertà: in quell’anno e mezzo di latitanza non c’è stato nessuno che si sia lasciato sfuggire anche solo una confidenza. E pensiamo alla facilità con cui riusciva a muoversi, cambiando nascondigli e ospiti fra Goceano e Barbagia. A dargli sostegno erano pastori ma anche cittadini non direttamente legati all’ambiente agropastorale: vuol dire che la sua figura incuteva ancora timore ma anche rispetto, chiamiamolo così. Il suo obiettivo era il denaro e per ottenerlo si è dato a una varietà di delitti che arrivavano al traffico di stupefacenti, ma quando ci si ostina a parlare di “bandito romantico” l’aggettivo finisce sempre per spazzare via il sostantivo. E lui, anche grazie ai mass media e a un certo tipo di cultura dell’esotico, è riuscito a costruirsi quest’aura. È stato un influencer ante litteram e se n’è avvantaggiato nel costruirsi una rete di appoggi trasversali».
Qual elemento vi consentì di arrestarlo?
«La tenacia nel mettere insieme senza preconcetti gli elementi raccolti sul territorio. E così siamo riusciti a individuare un soggetto orgolese, non della primissima cerchia familiare, che aveva le caratteristiche per poter essere il trait d’union fra Mesina e il mondo. Ma le assicuro che è servita un’attività incessante di ascolto, di analisi, anche di osservazione occulta degli innumerevoli spuntini organizzati da soggetti che pensavamo facessero parte della sua cerchia di relazioni. Alla fine siamo riusciti a individuare una persona: non dava assolutamente nell’occhio ma a noi è parsa importante. E avevamo ragione: era la persona che materialmente gestiva i suoi spostamenti. Perciò pedinandola siamo riusciti a individuare chi in quel momento aveva in custodia Mesina e dopo settimane di osservazione siamo riusciti a inquadrarlo. A quel punto abbiamo deciso di entrare in azione con il Gruppo di intervento speciale, anche perché avevamo elementi tali da ritenere che da lì a poco si sarebbe spostato, e non volevamo assolutamente sprecare quella finestra di opportunità che si era aperta».
Fu il lieto fine investigativo di una latitanza nata in modo sconcertante.
«È una circostanza che ha indotto a una riflessione profonda anche nell’Arma. Però va detto che Mesina era riuscito a dissimulare in maniera veramente efficace le sue intenzioni: si pensava che ormai fosse al tramonto della sua esistenza e che non avesse la voglia né la capacità di sottrarsi alla cattura. Ed è vero anche che era già sparito quando la notizia della condanna definitiva era ancora ufficiosa, quindi ha avuto la notizia prima e si è sottratto per tempo».
Secondo molti la latitanza è più dura della detenzione.
«Di sicuro è una vita di sacrifici. Certo, anche per motivi anagrafici non dobbiamo immaginarlo nascosto in una grotta: si è spostato per ovili, case, casali di campagna. Ma è un’esistenza dura, costosissima e completamente in balia di chi ti custodisce. Però agli occhi di un bandito come Mesina era preferibile alla galera, anche per continuare a dare vita e senso al mito che si era costruito».
Celestino Tabasso