Data Revolution, prepararsi alla rivoluzione digitale” è il titolo del convegno che si svolgerà venerdì 31 maggio, dalle 9.30, a Sa Manifattura a Cagliari (primo appuntamento della rassegna promossa dal progetto Smart Companies for Smart Cities) un’iniziativa della società Apply, finanziata da Sardegna Ricerche.

Relatrice d’eccezione sarà Donatella Taurasi, docente alla Haas School of Business della Berkeley University of California.

Professoressa, qual è il suo curriculum?

«Sono nata in un paesino nella verde Irpinia, che ho lasciato all'età di 19 anni per intraprendere gli studi in Finanza all'Università di Bologna. Durante il dottorato ho visitato diverse università all'estero, tra cui la NYU Stern School of Business e la Haas School of Business in California. Queste esperienze sono state molto formative, e la vicinanza alla Silicon Valley mi ha presto coinvolta nel mondo dei dati e della data science. In questo periodo ho scoperto una grande passione per l'insegnamento e, dopo il dottorato, ho accettato con entusiasmo l'offerta di unirmi al corpo docente della Haas School of Business. Da allora, ho insegnato diversi corsi, tutti caratterizzati da un forte focus su dati e tecnologia. Attualmente ricopro il ruolo di Data Science Officer presso Lumen Global Investments e faccio parte di diversi advisory boards. La mia passione è sempre stata quella di colmare il gap tra tecnici e non tecnici all'interno delle aziende. Per questo motivo sono particolarmente orgogliosa di offrire la mia esperienza e collaborare con startup come DataMasters, l'AI Academy italiana per la formazione in Intelligenza Artificiale, Machine Learning e Data Science. Il mio futuro è sicuramente orientato verso iniziative che continueranno a colmare questo gap».

Cosa significa Cultura dei dati?

«Credo sia il cuore di qualunque iniziativa di Intelligenza Artificiale. È un concetto spesso sottostimato da aziende e organizzazioni a livello globale. Siamo ben oltre il periodo in cui si raccoglievano dati solo per il gusto di raccoglierli. Dobbiamo emanciparci dal riferirci ai dati con la lettera D maiuscola e cominciare a utilizzarli per quello che sono: uno strumento per un fine».

Quale fine?

«Prendere decisioni di altissima qualità che creino valore, a qualsiasi livello e in qualsiasi contesto. Il primo passo verso questo obiettivo è coltivare la cultura dei dati all’interno delle nostre organizzazioni, siano esse pubbliche, private o di altro tipo. La cultura dei dati si riferisce all'adozione di pratiche e atteggiamenti che valorizzano l'uso degli stessi all'interno di un'organizzazione. Ciò implica promuovere un ambiente in cui le decisioni sono basate su dati accurati e rilevanti, e in cui tutti i dipendenti, indipendentemente dal loro ruolo, ne comprendono l'importanza e sanno come utilizzarli in modo efficace. Una forte cultura dei dati promuove la trasparenza, l'innovazione e la fiducia nelle analisi dei basate su dati».

E Data Governance, cosa vuol dire?

«Quando utilizziamo l'IA, soprattutto l'IA Generativa, qualsiasi rischio, sia esso bias, discriminazione, hacking o un modello poco performante, è amplificato a livelli impensabili fino a qualche anno fa. La variabile che possiamo controllare più di qualsiasi altra cosa nel contesto dei modelli di IA è l’input, ovvero i dati. Dobbiamo assolutamente focalizzarci sulla qualità dei dati che utilizziamo per addestrare i modelli di IA. La Data Governance, che io chiamerei AI Governance per coprire l’intero processo, è un aspetto fondamentale che va coltivato proattivamente nelle organizzazioni e non visto solo come un esercizio di conformità per i regolatori. La Data Governance è l'insieme di processi, politiche, standard e metriche che assicurano l'uso efficace e sicuro dei dati all'interno di un'organizzazione. Questo include la gestione della qualità dei dati, la protezione dei dati sensibili, la conformità alle normative e la definizione delle responsabilità nei vari aspetti della gestione dei dati. Una buona governance dei dati aiuta a garantire che i dati siano accurati, accessibili e protetti».

Quali sono le sfide che le aziende devono affrontare per sviluppare una strategia efficace in questo settore?

«So che molte aziende vedono l’implementazione di modelli di IA come una sfida, ma credo che dovrebbero vederla invece come una grande opportunità. Non attrezzarsi per sfruttarla a loro favore sarebbe l'equivalente digitale, passatemelo, di spararsi in un piede. A partire dagli executives fino a coprire tutta la scala gerarchica, tutti in azienda hanno la responsabilità di comprendere il ruolo di questi strumenti, supportati da dati di qualità, nel migliorare le nostre decisioni. Inoltre, questo processo innovativo ci permetterà di rivedere metriche e processi. Le aziende dovranno sicuramente investire nella formazione del personale, garantendo che i dipendenti acquisiscano le competenze tecniche e non tecniche necessarie per utilizzare i dati in modo efficace. Questo passo aiuterà a creare una cultura organizzativa che valorizzi l'uso dei dati e metta i dati al centro di qualsiasi decisione aziendale. Ogni singola azienda dovrà assicurarsi di lavorare con dati che siano di altissima qualità (accurati, completi e aggiornati), sicuri (protetti da accessi non autorizzati e violazioni) e accessibili».

Si parla ogni giorno di Intelligenza Artificiale, in quali campi può avere un’applicazione concreta e migliorare la nostra vita di tutti i giorni?

«L'Intelligenza Artificiale può migliorare la nostra vita in molti campi. Nella sanità, può offrire diagnosi mediche più rapide e accurate, oltre alla medicina personalizzata. Nei trasporti, può portare a veicoli autonomi, ottimizzazione del traffico e miglioramenti nella logistica. Nel settore finanziario, l'IA può facilitare l'analisi predittiva, il rilevamento delle frodi e la gestione degli investimenti. In ambito educativo, può personalizzare l'apprendimento, fornire tutor virtuali e analizzare le prestazioni degli studenti. Inoltre, l'IA può rivoluzionare il customer service, la manutenzione predittiva, l'automazione dei processi di produzione e l'ottimizzazione della supply chain. Questi sono solo alcuni esempi, ma le applicazioni dell'IA vanno ben oltre. Di sicuro vedremo (e stiamo già vedendo) applicazioni interessanti nei settori ricchi di dati o in contesti dove c'è sempre stata una forte vocazione alla raccolta di dati, specialmente mediante esperimenti».

Ma l’Intelligenza Artificiale – nell’immaginario collettivo – fa anche sciocchezze, come dire di mettere la colla nella pizza o la benzina negli spaghetti…

«L'Intelligenza Artificiale non è perfetta e può commettere errori, soprattutto quando non è addestrata correttamente o quando i dati di addestramento sono di bassa qualità. Tuttavia, con una buona governance dei dati e un'attenta supervisione umana, molte di queste "sciocchezze" possono essere evitate. È importante ricordare che l'IA è uno strumento e la sua efficacia dipende da come viene sviluppata e implementata».

Pensa che i giovani in Italia si stiano formando sufficientemente per affrontare questa “rivoluzione”, le Università italiane sono pronte?

«Le Università italiane stanno facendo progressi nell'integrazione dell'Intelligenza Artificiale nei loro programmi di studio, ma c'è ancora molto lavoro da fare. È cruciale che le istituzioni accademiche aumentino l'offerta di corsi specifici sull'IA, data science, la statistica e la programmazione, e che collaborino con le industrie per garantire che i programmi di studio siano rilevanti e aggiornati. Anche la formazione e apprendimento continui sono essenziali per preparare i giovani alle sfide future».

E negli Stati Uniti?

«Negli Stati Uniti, molte università sono già all'avanguardia nell'insegnamento dell'IA e della data science, con programmi dedicati e collaborazioni con le aziende tecnologiche leader. Tuttavia, c'è una disparità tra le diverse istituzioni e regioni. Le università di élite offrono eccellenti opportunità di formazione, ma è importante che queste risorse siano disponibili anche nelle università meno prestigiose e nelle comunità svantaggiate».

Cosa pensa del recente AI Act del Parlamento europeo?

«L'Ue si è mossa in modo molto più deciso rispetto agli Stati Uniti verso la codificazione della regolamentazione in ambito AI. L'AI Act del Parlamento europeo rappresenta un passo significativo verso la regolamentazione dell'Intelligenza Artificiale per garantirne un uso sicuro ed etico. Questo atto mira a creare un quadro normativo chiaro che protegga i diritti dei cittadini e promuova l'innovazione responsabile. L'AI Act svolge un ruolo cruciale nel garantire la certezza giuridica, facilitare gli investimenti e l'innovazione, e nello sviluppo di un mercato unico per l'IA, prevenendo la frammentazione del mercato all'interno dell'Ue. Tuttavia, è fondamentale che tali regolamentazioni non soffochino l'innovazione, ma la guidino in una direzione che massimizzi i benefici sociali ed economici. È necessario un equilibrio tra regolamentazione e flessibilità per adattarsi alle rapide evoluzioni tecnologiche».

Quali consigli dà a imprese e istituzioni?

«Il mio consiglio alle aziende è di essere proattive piuttosto che reattive. Il regolatore deve intervenire in caso di gravi violazioni, soprattutto in ambito privacy. Se le aziende implementano processi che assicurino che questi modelli operino per il bene comune, in modo trasparente e responsabile, credo che si possa trovare il giusto equilibrio tra regolamentazione e innovazione. Al regolatore consiglio di prioritizzare la comunicazione con i vari stakeholders prima di codificare in modo aggressivo una realtà che è ancora in pieno sviluppo e di cui stiamo ancora imparando tanto».

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