«È così, noi donne siamo lunatiche».

Un assist per mariti, fratelli e figli.

«Siamo lunatiche nel senso vero, riferito alla luna. Non nel senso dispregiativo che i maschi hanno sempre dato, e talvolta ancora danno, a questo valore».

Fase crescente e fase calante.

«Esattamente. Tutto il nostro essere è imperniato sulla ciclicità del ciclo mestruale, che occupa non solo quei cinque giorni di sangue, bensì tutta la vita».

Non solo l’età fertile?

«No. Da bambine aspettiamo l’evento della prima mestruazione, da adolescenti pensiamo di doverle vivere come una difficoltà e con i primi rapporti cominciamo ad aver paura di non vederle. Crescendo, invece, se vogliamo un bambino abbiamo paura di vederle; quando il bambino nasce quelle ritornano. In menopausa, e in tutta la fase che la precede, ti chiedi: le vedrò ancora?».

Laura Capossele, 41 anni, è una educatrice mestruale. Se a questo punto dell’intervista i lettori maschi pensano di dover girare pagina perché la cosa non li riguarda, è bene che ci ripensino. Quanto alle ragazze e alle signore, non c’è neanche bisogno di spiegare. Laurea in ostetricia, casa a Villasor, sposata e madre di una bambina di 9 anni e di un maschietto di dieci, dal 2017 è una delle duecento docenti italiane della società di formazione Custodi del Femminino, associazione che lavora sulla consapevolezza femminile ed educa, questa la ragione sociale, “alla bellezza della ciclicità femminile”. Incontri e laboratori, l’ultimo (organizzato dalla cooperativa Vox Day) mercoledì scorso, alla biblioteca di Flumini di Quartu, con tante piccole allieve, le loro mamme e qualche papà.

Roba new age starà pensando qualcuno.

«New mica tanto. Le mestruazioni sono sempre esistite, semplicemente negli ultimi anni si sta scoprendo che non sono solo “cose delle donne”, ma che finché si vive tutti insieme sono “cose di tutti”».

Che cosa spiega alle bambine che frequentano i suoi laboratori?

«Alle bambine e tante volte anche alle mamme, sa? Spiego che le mestruazioni non sono soltanto i cinque giorni di sangue, ma che il corpo lavora un intero mese per questo. Un lavoro che avviene all’interno – attraverso la comunicazione tra cervello, utero e ovaie – e che riceve anche influenze esterne».

Come lo stress?

«Incide tanto, come ciò che ci capita. Voglio dire che tutto è collegato».

Com’è che arriva a parlare della luna?

«Seguiamo una ciclicità che ci porta ad apparire diverse, cangianti. Nella prima fase del ciclo stiamo producendo estrogeni, il corpo si prepara ad accogliere e siamo dunque più accoglienti, più predisposte verso l’esterno. Viceversa dopo l’ovulazione, nella fase premestruale, saremo più rivolte verso l’interno. Come la luna, centriamo la nostra luce verso noi stesse perché abbiamo bisogno di ritornare nel nostro autunno-inverno».

In modalità luna calante?

«Sì, ed è una fase che non viene accettata dagli altri. Ci vorrebbero sempre primavera-estate, pronte a garantire sempre le stesse prestazioni con uguale energia. Il guaio è poi che le donne stesse non accettano questa fase, perché il fatto di non rendere sempre allo stesso modo, in una società maschile lineare ti porta a sentirti inadeguata, non all’altezza. E a faticare molto di più per fare le stesse cose che facevi agevolmente due settimane prima».

Significa che pure al lavoro possiamo contare su minori energie?

«In realtà così non è. Esprimiamo irritabilità, nervosismo, rabbia, comunque energie distruttive-costruttive che, se dirette nel modo giusto, possono essere utilizzate in maniera proficua. Alle bambine, e alle loro mamme, insegno che anche in questa fase, quando ci sembra di avere meno energie, in realtà ne abbiamo. Come la natura che in autunno lavora per prepararsi al riposo invernale».

Sì, però dice che una donna fatica molto di più durante la fase premestruale.

«Il fatto è che si tratta di un’energia più fisica, tanto che si fa fatica a ragionare mentalmente, a lavorare, spiego per fare un esempio, con un foglio Excel. Mentre, al contrario, si è nel pieno della potenza creativa. Ecco, bisogna lavorare utilizzando questa energia fisica, questa creatività, senza fare l’errore di consumarla focalizzandoci sul fatto che non capiamo una cosa. Così finisce che arriva il mal di testa».

I suoi laboratori sono frequentati solo da bambine e mamme?

«Anche da tantissime donne che cercano di avere un figlio che non arriva. Dopo la laurea nel 2004, ho lavorato per diversi anni in una clinica a Quartu dove mi occupavo di fecondazione assistita. Ho visto e vedo che, ancor prima di affrontare questo percorso, si vive il peso della mentalità del nostro tempo fondata sulla programmazione, sul tutto e subito. Insomma, a un certo punto le donne decidono di volere un bambino e programmano l’agenda. Ma non funziona così, arriva la frustrazione e si finisce per vivere la ricerca di un figlio in maniera meccanica, senza neanche il piacere».

Lei come le aiuta?

«Partendo dal principio. Mi dicono “è un mese che ci proviamo e non arriva”. Ecco, spiego come funziona il ciclo mestruale. È necessario partire dalla conoscenza del proprio corpo».

Che età hanno queste allieve?

«Tra i 26 e i 44 anni, l’età media è intorno ai 35».

Insomma, dalle bambine alle donne adulte, non c’è l’esatta consapevolezza di come funziona il nostro corpo.

«È così. Non solo le più piccole, mi è capitato anche di dover spiegare molte cose a donne con figli. Una volta, quando lavoravo nel servizio dell’Asl, dopo il pap test una signora sessantenne mi chiese se potevo aiutarla con lo specchio perché, disse, “lì non mi sono mai vista”. Però, guardi, occorre anche lavorare molto sui maschi...».

In che modo?

«Parlandone, sfatando il tabù legato al ciclo mestruale. Parlarne, spiegare i meccanismi del corpo, serve per sconfiggere l’ignoranza che è ciò che porta alla paura».

È importante anche nell’educazione al rispetto?

«Sì, contro la violenza sulle donne, il bullismo e qualsiasi altra prevaricazione. Il fatto di essere consapevoli del proprio corpo, e del corpo dell’altro, e di sapere che cosa ci fa piacere e cosa invece non ci piace, ci fa capire cosa vogliamo e cosa invece non vogliamo quando ci relazioniamo con l’altro».

Lei ha anche un profilo su Instagram e TikTok…

«Si chiama La luna sono io. Vedo tanta disinformazione, tanta inconsapevolezza. Mi arrivano molti messaggi. Donne che cercano di avere un figlio, e poi i ragazzini. Cose tipo “abbiamo fatto petting vestiti, lui aveva le mani sporche. Non è che sono rimasta incinta?”».

Piera Serusi

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