Intercettazioni sbagliate, orunesi assoltiErano tutti accusati di traffico d'armi
Un cric era diventato un mitra e un agnello qualcuno da far fuori. Lo stesso pm ha ammesso gli errori grossolani della prime trascrizioniSi sono fatti chi cinque chi dieci mesi di galera, accusati di aver nascosto un vero e proprio arsenale nelle campagne del Grossetano, salvo poi scoprire, attraverso una perizia super partes, che le teorie degli inquirenti si basavano su intercettazioni trascritte in maniera a dir poco farsesca, dove nel passaggio dal sardo all'italiano un cric era diventato un mitra e un agnello qualcuno da far fuori.
ACCUSE IN ARCHIVIO A rimediare al clamoroso errore giudiziario è stato il Gip di Grosseto Pietro Molino che, su richiesta dello stesso pm titolare del fascicolo Maria Navarro, questa estate ha definitivamente archiviato la posizione di sei sardi, tra cui cinque orunesi, coinvolti nell'operazione Touch &Go. Si tratta dei fratelli Gianfranco e Mario Titino Moni, la cui sorella Maria Teresa fu uccisa nel 1977 in un agguato a soli tredici anni, del cugino dei due Michelangelo Moni, di Francesco e Mauro Monni (rispettivamente fratello e padre di Pasquale Monni, ucciso a Bitti l'11 settembre 2003) e di Pietro Raimondo Marras di Lula.
GLI ARRESTI I sei erano stati arrestati nel maggio dello scorso anno nell'ambito di una maxi inchiesta su una banda composta prevalentemente da sardi (tra cui molti orunesi) sospettata di una serie impressionante di azioni criminali messe a segno in Toscana tra il 2003 e il 2007, tra cui una rapina a un furgone portavalori e tre assalti armati ad uffici postali. I tre Moni e i due Monni, insieme a Marras, erano però finiti nei guai solo per un presunto traffico di armi, scoperto - dissero allora gli inquirenti toscani - grazie a un'intercettazione ambientale del 15 aprile del 2007 effettuata sull'auto di Gianfranco Moni ferma nella sua azienda di Murci. Gli inquirenti avevano addirittura ipotizzato un legame tra il possesso dell'arsenale e la disamistade che da mezzo secolo insanguina Orune. «Le persone citate - aveva infatti scritto il Gip Molino nella sua ordinanza di carcerazione un anno fa - si riuniscono in quanto avvisate dell'arrivo di una persona che ha il compito di localizzare un componente della famiglia Moni e Monni nell'ambito della faida di Orune che li vede contrapposti allo schieramento Deiana e Chessa. Ciò ingenera nei presenti una reazione che consiste nel prelevare armi da fuoco da un nascondiglio, provarle e meditare di anticipare le mosse del localizzatore e ucciderlo».
LA NUOVA PERIZIA Armi che non furono però trovate durante la perquisizione nel podere di Gianfranco Moni e che la seconda perizia sulle intercettazioni - disposta dallo stesso Gip ed effettuata dai Ris di Roma e dall'ex maresciallo dei carabinieri Salvatore Sanna, che in passato ha lavorato in importanti inchieste sui sequestri - ha escluso che siano mai esistite. Interpretando le conversazioni in orunese stretto dei sei indagati, i carabinieri di Grosseto avevano infatti combinato un pasticcio colossale, trasformando normali discussioni su pecore e foraggio in pianificazioni di omicidi, oppure traducendo in mitra e fucili termini dialettali che con le armi non avevano nulla a che fare. Per non parlare della perizia fonica: i rumori di fondo attribuiti dai militari allo scarrellamento delle armi altro non erano in realtà che banalissimi colpi di cric sull'automobile. Da qui decisione dello stesso pm Navarro di chiedere l'archiviazione definitiva delle accuse, diventata definitiva solo qualche settimana fa.
L'ULTIMO FILONE Ora dell'operazioni Touch&Go resta in piedi solo il filone rapine (tra cui spicca il colpo al portavalori Securpol avvenuto il 3 novembre del 2006 a Manciano) in cui sono indagati altri quattro orunesi, ma anche in questo caso il Gip Molino, scottato da quanto accaduto con le armi, ha chiesto una nuova perizia sulle intercettazioni che sarà pronta a ottobre. E, visto il precedente, non sono da escludere altre clamorose sorprese.
MASSIMO LEDDA