È una storia lunga di annunci e di inganni, un susseguirsi infinito di espedienti e ritardi pianificati. Quando c’era da prendere, hanno preso, sempre a piene mani. Ora che c’è da restituire, scappano, sempre a gambe levate. Sul terreno restano inquinamento, rottami e ciminiere arrugginite. A piedi restano lavoratori, speranze e futuro. Nel profondo Sulcis, un tempo motore elettrico della Sardegna, le strade hanno perso persino i cartelli. Qui non si produce più da tempo, semmai ci si trascina. A segnare il tempo non sono più le quotazioni di piombo, zinco e alluminio. Qui anche gli operai, nei tempi gloriosi della metallurgia primaria, seguivano l’andamento della Borsa dei metalli di Londra per sincerarsi della buona sorte delle fabbriche di Portovesme.

Il calendario degli annunci

Ora, al limite, sono costretti a contare i giorni nel calendario delle prese in giro, quelle che da decenni segnano senza indugi la storia moderna del polo industriale del Sulcis, nato per dare lustro all’Italia senza metalli e senza miniere. Se a parlare fossero i copiosi archivi degli annunci di Stato, roboanti e destituiti di fondamento, si potrebbe intravvedere una strategia che viene da lontano: “rapiniamo” il territorio, attraverso società di Stato e parastatali, portiamo via metalli a basso costo, da trasformare in seconde e terze lavorazioni nell’Italia ricca e “produttiva”, poi lasciamo la “terra promessa” senza lavoro e inquinata, nel più totale deserto produttivo.

Deserto, ultimo capitolo

L’ultimo capitolo di quel piano maledetto di sfruttamento a basso costo si sta affermando, senza lode e con molta infamia. Nel Sulcis, nel silenzio generale, si sta consumando l’ora del “deserto”. L’annuncio del Ministro della Sicurezza Energetica, Gilberto di nome, Pichetto e Fratin di cognome, sulla fine dell’era del carbone in Italia, rientra tra le prese d’atto delle affermazioni scontate: l’uscita dal carbone per la Sardegna è rinviata tra il 2026-2028. Come se avesse annunciato che domani, grazie al cambiamento climatico, sorgerà il sole. In realtà, quelle date comprese tra il 2026 e il 2028, come quelle precedenti, sono campate per aria, senza alcuna seria pianificazione degli eventi, tantomeno una strategia energetica chiara e definita in grado di assegnare all’Isola un futuro energetico, di breve, medio o lungo termine.

Il nefasto decreto Draghi

Lo capisce chiunque maneggi con una qualche dimestichezza le questioni energetiche. Ad oggi non esiste alcuna strategia concreta e definita per dare energia ad un’Isola intera, considerato che il piano di occuparla e devastarla di pale eoliche e pannelli fotovoltaici, sta incontrando una resistenza insperata nelle comunità locali e nelle amministrazioni comunali, da nord a sud dell’Isola. Il “decreto Draghi”, quello impropriamente chiamato “Energia Sardegna”, destinato a sventrare l’Isola a colpi di speculazioni eolico-finanziarie dichiarate di “interesse pubblico”, si è arenato al Consiglio di Stato, in attesa di una nuova formulazione, anch’essa annunciata una decina di volte, ma sempre rimasta appesa all’albero degli annunci gratuiti, perennemente in produzione. Nel limbo energetico di una Sardegna destinata a subire gli interessi delle lobby elettriche pubbliche e private, si sta assestando il colpo più duro al futuro produttivo ed economico dell’Isola.

Tempo scaduto

Il decreto che aveva approvato l’ultima Autorizzazione Integrata Ambientale della centrale Enel, dedicata impunemente a Grazia Deledda, aveva scandito senza appello la scadenza: «La presente autorizzazione (del febbraio 2020 n.d.r.) ha una durata di sedici anni, fermo restando l'autorizzazione all'utilizzo del carbone quale combustibile fino al 31 dicembre 2025, nel rispetto del decreto ministeriale 10 novembre 2017 e della proposta di Piano nazionale integrato per l'energia e il clima trasmessa alla Commissione europea in data 8 gennaio 2019». Insomma, ad oggi la disposizione ignora le chiacchiere, ancora tali sino a quando una norma sancirà il passaggio dagli annunci al rinvio effettivo.

Regione senza centrale

A segnare la disfatta energetica della Sardegna non è, però, la ritardata chiusura della centrale Enel, ma semmai l’assenza di un piano in grado di garantire all’Isola quell’indipendenza energetica che tutte le regole di “sicurezza” elettrica avevano da sempre imposto per una regione insulare. Incompetenza e tracotanza di Stato, dalle società parastatali al decreto Draghi, hanno pianificato di spegnere ogni centrale elettrica dell’Isola senza pianificarne una riconversione, così come è avvenuto in gran parte dell’Italia. In questo scellerato piano statale di isolamento energetico, non solo la Sardegna resterà l’unica regione d’Europa e d’Italia senza metano, ma sarà anche il primo territorio regionale europeo senza una centrale elettrica, se si esclude il regalo fatto ai petrolieri della Saras, con l’essenzialità riconosciuta alla Sarlux di Moratti, in attesa dell’arrivo degli stranieri.

Sbando energetico

Lo stato confusionale di Roma è tutto nelle lettere tra enti e società di Stato. La Snam, per esempio, su mandato del Governo di Roma aveva pianificato due rigassificatori galleggianti, uno a Portovesme e uno a Porto Torres. Nel piano economico, quello più razionale, l’obiettivo era quello di convertire a metano le due centrali a carbone. In realtà, la risposta dell’Enel, protocollata agli atti, ha confermato che il governo Draghi, titolare di quella decisione, aveva varato quello che si era rivelato nient’altro che il decreto dello “sbando energetico” della Sardegna. Enel, infatti, a muso duro, aveva scritto al Ministero dell’Ambiente che il piano di Snam era letteralmente da cestinare perché loro, i signori della centrale, non avevano nessuna intenzione di convertirla a gas.

Fuga, senza appello

L’unico piano possibile per l’Enel è scritto da tempo: chiudere tutto, lasciare sul campo solo le batterie dei “nipotini di Mao”, da caricare a suon di devastazione eolica e fotovoltaica da consumarsi ulteriormente nello scenario già stravolto della costa sulcitana. Per il resto, fuga. Un film già visto. Basta guardare la centrale “Portoscuso”, quella dismessa nel 2012, a ridosso della distesa delle batterie “Made in China”. Il piano di “annientamento” di quel groviglio di ferraglia, per esempio, doveva concludersi, secondo il timing Enel, in 144 giorni massimo per la predisposizione dei documenti e 192 giorni per la demolizione delle ciminiere. Quei due camini di ruggine, cadenti e inutili, sono ancora lì. E ci resteranno a lungo, come il resto dei lavori previsti e mai fatti.

Avanza la ruggine

E poi, lì davanti, troneggia la grande ciminiera, un camino da 250 metri d’altezza, quello della centrale “Grazia Deledda”. Una centrale ormai senza futuro, con i segni indelebili ed evidenti di uno status già decretato: “morta e sepolta”. Certo funziona, nonostante tutti i limiti, ma l’avanzata della ruggine e dei cedimenti sono visibili ad occhio nudo, segno eloquente di un impianto che ha il futuro segnato. Se tutti i controlli dell’Ispra si sono conclusi con un via libera sostanziale, non sfuggono, come le immagini che pubblichiamo dimostrano, i segni evidenti di un decadimento generale di una centrale per la quale i Palazzi di Roma hanno deciso la fine senza alternative. Nel silenzio generale avanza l’ennesima cattedrale di ruggine e rottami. La Sardegna si candida a “brancolare” nel buio. Senza centrali elettriche, senza metano, senza idrogeno, senza futuro.

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