C’è di tutto e di più nell’assalto eolico targato Danimarca all’Isola di San Pietro. C’è il conflitto internazionale tra l’Algeria e l’Italia per la sovranità in quel tratto di mare, c’è la guerra tra il Ministero delle Infrastrutture e la Presidenza del Consiglio dei Ministri sulla procedura da seguire per devastare quel tratto di costa a colpi di pale eoliche ciclopiche da conficcare in mezzo a quell’orizzonte esclusivo, c’è, soprattutto, l’impatto devastante per il “Paesaggio” e la rotta del Tonno Rosso, da sempre elemento primario di un’economia fiorente per quest’Isola nell’Isola.

Invasione eolica

L’operazione invasione eolica, da quando un anno fa l’Unione Sarda ha rivelato il progetto-scempio, rimbalza tra i meandri burocratici di ministeri e capitanerie, tra lobby e persuasori occulti, tutti protesi ad alimentare a piene mani il grande business degli incentivi e della speculazione eolica in terra e mare di Sardegna. Un quotidiano tentativo di far avanzare progetti faraonici con l’unico obiettivo di intascare miliardi di euro, leggasi miliardi non bruscolini, sia di contributi in conto capitale, magari provenienti dal Pnrr, e dagli incentivi provenienti direttamente dalle bollette dei sardi e degli italiani.

Oggi al Molo Ichnusa

Stamane, ore 9.30 nella sala delle patenti nautiche della Capitaneria di Porto di Cagliari, lo Stato, quello con la diramazione sulla sicurezza e il controllo del mare in terra sarda, tenterà di chiudere la partita, nonostante un precedente che incombe come un macigno anche su questo progetto. I progetti già affondati dal parere degli uomini di mare che governano l’ufficio di Stato poggiato sul molo Ichnusa, quelli presentati sul Golfo degli Angeli, denominati Nora Ventu 1 e 2, in capo alla JPMorgan, proprietaria della Falk Renewables, sono stati di fatto rispediti al mittente con un’argomentazione secca: «Il procedimento di valutazione di impatto ambientale costituisce una fase fondamentale e imprescindibile al fine di stabilire la richiesta compatibilità delle strutture costituenti l'impianto con le altre attività marittime tra le quali le rotte migratorie del tonno e l’eventuale impatto di campi elettromagnetici con la pesca». In pratica senza la valutazione d’impatto ambientale non ci può essere concessione di spazi acquei a mare.

Fase 2, via libera

Sul progetto che stamane sbarca ufficialmente nella conferenza dei servizi c’è, però, un passaggio ulteriore di non poco conto: il ministero della Transizione ecologica ha espresso il via libera alla fase due della procedura di valutazione ambientale. Una vera e propria centrale eolica da piazzare in mezzo al mare davanti a Carloforte e visibile persino da Porto Flavia: il progetto “Thalassa” punta a far sistemare ben 35 aerogeneratori, con fondazioni galleggianti ancorate sul fondo del mare.

35 grattacieli da 100 piani

Si tratta di pale eoliche ciclopiche, ciascuna con potenza nominale di 15 megawatt, diametro massimo del rotore pari a 236 metri, altezza massima al mozzo di 180 metri, altezza totale massima pari a 298 metri. L’intera centrale piazzata in mezzo al mare si candida a sostituire la potenza della centrale Enel di Portovesme, per una potenza totale dell'impianto di 525 MW. Seppur con una miriade di prescrizioni progettuali la Commissione per la valutazione d’impatto ambientale, in base alle nuove procedure accelerate imposte con il Pnrr, ha dato il via libera ai signori di Thalassa srl, un’apparente modestissima società costituita a dicembre dello scorso anno con l’intento di sbancare il vento tra Carloforte e Portovesme, in un’area a mare che si appoggia alla linea delle acque territoriali, ma che diventa un pugno nell’orizzonte di quel tratto di costa.

Vestas, il colosso danese

I propugnatori di questo progetto dichiarano una residenza fiscale a Roma, ma in realtà la testa e soprattutto i conti correnti bancari sono tutti depositati ad Aarhus Hedeager nel cuore della Danimarca, uno di quegli Stati contrari ad assegnare all’Italia i fondi del Pnnr che oggi, però, vorrebbe passare all’incasso.La società, però, non è roba da sobborghi: i due unici consiglieri di amministrazione della piccola srl, infatti, incrociando i dati, risultano ai vertici di Vestas, una delle più grandi, se non la più grande multinazionale di produzione di pale eoliche al mondo. Certamente soggetti non particolarmente interessati al paesaggio di Carloforte, alla rotta del Tonno Rosso o alla sicurezza della navigazione in quell’area geografica davanti alla costa sarda.

Pareri contrari

Nella rotta per approvare questa invasione eolica il passaggio di stamane sarà fondamentale per capire gli schieramenti in campo e l’eventuale riposizionamento istituzionale con il nuovo Governo.La giunta regionale sarda, seppur in ordine sparso, ha inviato diversi pareri al ministero della Transizione Ecologica, la maggior parte, a partire da quello espresso dall’Assessorato Regionale all’Ambiente, sono contrari sotto molteplici punti di vista. Un dato, però, emerge: le valutazioni proposte in quest’ambito sono tutte dirigenziali e agli atti di questo procedimento non c’è un solo atto deliberativo di un organo istituzionale, Presidente della Regione, Giunta o Consiglio Regionale, che avrebbe certamente pesato e non poco nell’iter di questi progetti.

Adozione istituzionale

Sarebbe bastata l’adozione “istituzionale” della posizione espressa dai pareri dell’assessorato all’Ambiente per far pesare con il giusto rilievo sul tavolo statale la posizione della Regione su un tema così delicato come quello dell’invasione eolica a mare. In questo scacchiere, già da stamane, irromperà, però, un’altra questione rilevante, questa volta con ricadute internazionali. Il Comandante della Capitaneria di Porto di Cagliari lo ha già messo nero su bianco: i progetti ricadenti su quella fascia costiera, oltre le acque territoriali italiane, possono interessare la competenza di altri Stati.

Il mare d’Algeria

Il riferimento è all’istituzione della Zona Economica Esclusiva dell’Algeria con la quale, attraverso un atto unilaterale, Decreto del Presidente della Repubblica popolare del marzo del 2018, è stato praticamente “scippato” un tratto di mare di duecento miglia in linea verticale dalle proprie acque territoriali verso la Sardegna. Un prolungamento possibile in base al diritto internazionale sul mare, governato dall’Onu, sul quale l’Italia si è opposta ma senza grandi insistenze. Un atto di una gravità inaudita visto che gli algerini, in base a quella disposizione, risultano essere i veri titolari della costa sarda oltre le 12 miglia dalle acque territoriali. In pratica dall’Algeria sino all’altezza di Bosa la disponibilità di quel tratto di mare è totalmente in mano dello Stato africano. Non solo la competenza per la pesca e ricerche petrolifere, gas compreso, ma anche per la realizzazione di queste centrali eoliche posizionate oltre le acque territoriali. L’Italia, nella fattispecie il Presidente del Consiglio, ha la possibilità di dichiarare una propria Zona Economica Esclusiva.

Ricatto del gas

Da oltre un anno questa possibilità, stabilita con una legge dello Stato, è stata elusa, probabilmente per via del possibile “ricatto” algerino sul gas. Sia il governo Conte che quello Draghi non sono riusciti, o non hanno voluto, sollevare la questione con Algeri, con il rischio, però, di cedere per sempre la sovranità internazionale su quel tratto di mare. Ora la questione, però, non è più rinviabile. Il Governo Meloni dovrà esplicitamente decidere se “avallare” l’invasione algerina o meno, ma dovrà soprattutto assumere una posizione chiara sull’invasione eolica della Sardegna. La conferenza dei servizi di stamane è certamente una fase amministrativa, ma dall’atteggiamento degli organi dello Stato si capirà se Palazzo Chigi intenderà avallare lo sbarco eolico straniero nel mare sardo. Ultima annotazione: il nuovo Governo ha istituito il Ministero del mare. Il caos delle competenze, però, è già esploso. Nell’ultimo Consiglio dei Ministri, per tentare di superare il conflitto, è stato istituito un comitato interministeriale. Dell’assalto eolico nel mare sardo, davanti all’Isola di San Pietro, ancora non si sa chi dovrà decidere. Tra algerini e ministeri, danesi e predatori di vento il futuro della costa sarda è ancora in alto mare.

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