Figlia di nessuno per 84 lunghissimi anni, adesso può realizzare il suo sogno: conoscere il nome della madre naturale e, se fosse morta, andare a pregare sulla sua tomba. Lo ha stabilito il Tribunale per i minorenni di Cagliari. Fiorella Fitini è stata abbandonata alla nascita. Mai adottata, ha vissuto tra brefotrofio, affidamenti e istituti fino a quando, maggiorenne, si è trasferita da Roma a Cagliari. Qui si è rifatta un'esistenza. "Non ho mai odiato mia madre. Non potrei farlo: mi ha donato la vita. Per lei ho sempre provato affetto. Ma il desiderio di sapere chi fosse mi ha tormentato ogni giorno", racconta dalla sua casa di Cagliari.

La storia di Fiorella inizia il 21 ottobre del 1932 all'ospedale San Giovanni nel reparto "le celate", riservato alle donne che volevano partorire restando nell'anonimato, a volte coperte da un velo. Anche Fiorella viene lasciata dalla mamma. Per la neonata inizia un percorso doloroso tra orfanotrofio di Roma, famiglie affidatarie e un istituto di suore. Da maggiorenne, si trasferisce a Cagliari per amore. A vent'anni si sposa con un militare poi diventato operatore sanitario nell'ospedale Binaghi. Dopo quattro anni la vita le presenta un altro conto salatissimo: il marito muore in un incidente stradale. A trent'anni il secondo matrimonio. In tutto ha avuto sei figli. Poi undici nipoti e otto pronipoti. Circondata da tanto affetto, Fiorella ha sempre vissuto con un solo grande desiderio: "Sapere chi è mia madre. Conoscere il suo nome. Anche ora che probabilmente sarà morta".

Nonostante al momento del parto l'abbia abbandonata in ospedale?

"A sei anni ho scoperto che la donna che pensavo fosse mia madre in realtà era una balia. Da quel momento ho vissuto con la speranza di conoscere mia mamma. Non la condanno per quello che ha fatto. Anzi la ringrazio per la vita che mi ha donato: oggi sono circondata da tanto affetto e compagnia. Non potrei odiarla. Soprattutto non voglio morire senza conoscere il suo nome".

Cosa ha fatto per scoprirlo?

"Ho sempre lavorato, fin da piccola. Prima come sarta, poi come operatrice sanitaria in ospedale prendendo il posto del mio primo marito, dopo la sua morte. Ho conservato dei soldi per un investigatore privato. Non è servito. Anche i tentativi con signora Vittoria, direttrice di uno degli istituti in cui ho vissuto, non sono andati a buon fine: penso che lei sapesse chi fosse la mia mamma di sangue. Ma non me lo ha mai voluto dire".

Poi cosa è successo?

"Un anno fa mia nipote Alice Usai, avvocato, ha preso contatto con l'archivio dell'orfanotrofio di Roma. Grazie a lei, ho recuperato le copie dei documenti. Ho potuto così vedere le impronte delle mie manine e dei miei piedini, lasciate subito dopo la nascita. Una parte della mia storia. Dei dati di mia madre nessuna traccia".

Le lacrime rigano il viso di Fiorella. La nipote Alice le accarezza la testa: "È sempre stata una donna molto forte. Ci ha sempre raccontato la sua storia, confidandoci il desiderio di conoscere la sua mamma". Alice Usai ha abbandonato il ruolo da nipote, vestendo i panni da avvocato per portare avanti la battaglia nel Tribunale per i minorenni di Cagliari, presentando un'istanza per conoscere il nome della madre naturale della nonna. Alcune sentenze della Cassazione hanno permesso ai ricorrenti (sempre figli poi dati in adozione) di sapere l'identità della mamma, nel caso fosse già morta. Fiorella però non è mai stata adottata: "Questo ha reso ancora più complicato il caso". Poi la bella notizia, con il Tribunale per i minori di Cagliari che, con sensibilità e coraggio (ma sempre in punta di diritto) ha disposto che i colleghi romani identifichino la madre biologica, verificando se la donna sia ancora in vita (cosa che appare improbabile): in questo caso le verrà chiesto se voglia rinunciare all'anonimato. Se dovesse essere morta, il Tribunale comunicherà così i dati della mamma a Fiorella.

Ora come si sente?

"Ho sempre avuto un grande affetto per le donne che si sono occupate di me. Con 'mamma' Severina mi sono vista spesso. Ora sono contenta. Aspetto con ansia il momento di conoscere finalmente il nome della donna che mi ha dato la vita".

Matteo Vercelli

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