«Riflessione del giorno: ma che senso ha voler costruire ospedali nuovi se tanto non ci sono medici e infermieri per farli funzionare?». Inizia così il preciso e acuto racconto di una giornata di “ordinaria normalità” al pronto soccorso del Brotzu, a Cagliari, vissuta dalla giornalista Carla Mura: il resoconto di 11 ore di attesa per un infortunio subito dal figlio, fra personale che si fa in quattro, tensioni e un’escursione termica davvero eccessiva.

Ecco la “cronaca”, affidata a un post  Facebook.  

Oggi vi racconto di un giorno di ordinaria normalità, sulle mie 11 ore in Pronto soccorso.

Eh sì, non è ordinaria follia, perché ci siamo così assuefatti che ci sembra la normalità, e invece dovremmo rovesciare i tavoli. Non in ospedale ovviamente, ma in via Roma 25, a Cagliari.

Ieri ho accompagnato Filio al Pronto soccorso del Brotzu, perché si è fatto male a un ginocchio. Sapevo che non sarebbe stato piacevole, ma di venerdì, con molti specialisti in ferie e con l'urgenza di una radiografia, muoversi privatamente era impossibile.

Undici ore, senza pranzare e senza cenare, impossibilitati ad andare a prendere qualcosa alle macchinette perché se ti sposti e ti chiamano, è la fine. Una bolgia infernale, ma con temperature artiche, perché risparmiano su tutto ma non sull'aria condizionata. Le infermiere distribuivano lenzuola piegate alle persone in attesa, perché si proteggessero dal freddo.

Persone che si lamentavano, persone che, fuori di testa per attesa, malessere e forse disagio pregresso, urlavano parolacce e minacce in sardo. Mio figlio si è fatto una cultura. 45 minuti per avere del ghiaccio da mettere sul ginocchio, perché noi lo avevamo anche portato da casa nella borsa frigo, ma alla quinta ora di attesa già il ghiaccio non c'era più.

Per circa mezz'ora un signore anziano diceva che doveva fare pipì, e chiamava. Dopo, qualcuno è arrivato e alla facciaccia della privacy, a voce altissima gli ha detto di non preoccuparsi che aveva il panno. Gente con sfogo da asfalto (strupiata in motorino), persone piegate dal dolore che aspettavano per un ricovero, viaggiatori venuti dal magico mondo di Alzheimerlandia, che se non fosse per la drammaticità della situazione, raccontavano cose meravigliosamente strampalate.

Ma anche una signorinetta che si era grattata il neo che ora sanguinava, uno col mal di denti che forse voleva risparmiare sul dentista, e altre amenità simili. Perché bisogna dirlo, c'è gente che potrebbe adottare soluzioni alternative e non lo fa, intasa il pronto soccorso già oberato.

A tutto il contorno dell'infinita attesa c'è da aggiungere la mia preoccupazione per l'esito della visita, con un ragazzino di 15 anni che per quanto calmo e rassegnato aveva il ginocchio gonfio quanto la testa di un bambino e non riusciva ad appoggiare la gamba, non è che stesse proprio benissimo, anche se era nulla paragonato a certe situazioni.

Intorno alle 20, dalle 11 che eravamo lì, ci hanno accompagnato non so a quale piano, perché finalmente a Filio hanno ingessato la gamba. Pensavamo che saremo finalmente andati via, invece quando sono venuti a prenderci (si doveva tornare giù al pronto soccorso per le dimissioni e non potevamo farlo da soli) si sono accorti che quella sedia a rotelle con cui sono saliti non si poteva usare per un paziente con il gesso dal piede all'inguine.

Dunque l'infermiere molto carino e disponibile, si è scusato e ha detto che sarebbe andato a prendere una barella e sarebbe tornato subito, ho pensato che l'ospedale se lo fosse inghiottito: è tornato alle 21.45, dopo tre telefonate di sollecito, una dal medico e due dall'infermiera che in tanto, faceva clisteri, somministrava farmaci, sistemava stanze e ambulatori.

Prima di dimetterci il medico ci dice che in pronto soccorso ci devono prescrivere l'eparina. Alla fine il povero infermiere, mortificato per l'interminabile attesa (lo avevano trattenuto giù alcune emergenze) ci ha riportato agli inferi, dove abbiamo scoperto che no, l'eparina doveva prescrivercela il medico, bisognava risalire in traumatologia.

A quel punto credo che abbia cominciato a tremarmi l'occhio, perché l'infermeria, dopo un attimo di esitazione, ha capito che era meglio soprassedere sul conflitto di competenze e farmi la prescrizione all'istante. Insomma alla fine quasi 12 ore in pronto soccorso. Una giornata di lavoro persa, perché a differenze di chi ci governa e dovrebbe gestire queste situazioni, ho una partita Iva, e se non lavoro, non guadagno.

In tutto questo va detto che Filio al momento è privo di assistenza sanitaria pubblica, perché avendo compiuto 15 anni la settimana scorsa non ha più diritto alla pediatra. Consapevole di questo io con largo anticipo ho fatto richiesta di trasferimento, tramite mail come richiesto dalla Asl, ma non ho ancora ricevuto nessuna risposta.

Il personale, a parte qualche scorbutico, ma a questo punto ne capisco anche la ragione, medici, infermieri e guardie giurate sono tutti gentilissimi e disponibili, si fanno in quattro, ma sono in pochi e a farsi in otto o addirittura in sedici non ci riescono. Ma davvero, cosa ce ne facciamo di un ospedale fiammante se poi non abbiamo chi lo faccia funzionare?

Un grandissimo ringraziamento all'uomo del 118 che ci ha aiutato a far salire Filio in macchina, una persona di una dolcezza commovente, a parte che ha ha confuso la Regina Elisabetta con un cowboy. Grazie signor Paolo per le belle parole, non so Filio, ma io dopo una giornata del genere avevo proprio bisogno di sentire che ci sono persone come lei.

(Unioneonline)

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