La legge elettorale rappresenta una materia astrusa che non appassiona i cittadini in nessuna parte del mondo.

Vi sono paesi dove questa legge è un patrimonio condiviso da maggioranza e opposizione, conservatori e progressisti, gollisti e socialisti, repubblicani e democratici, in quanto rappresenta un sistema di regole su cui accordarsi prima di una competizione. In Inghilterra vige il maggioritario dalle origini della Camera dei Comuni, mentre il doppio turno è un marchio indelebile della V Repubblica francese, così come lo è la formula per le elezioni presidenziali americane, basata sul peso specifico dei singoli stati, che consente a un candidato di diventare il presidente della più potente nazione del mondo, anche prendendo meno voti del suo concorrente: come nel caso di Trump contro Clinton. Tre grandi democrazie, tre sistemi elettorali immutati nel tempo.

L'Italia si rivela un'eccezione. Negli ultimi 25 anni ha sperimentato quattro diversi sistemi elettorali. Dopo aver adottato per più di quarant'anni quello proporzionale (tanti voti, tanti seggi), nel 1994 è passata al sistema maggioritario (Mattarellum), per poi sostituirlo in rapida successione con due formule miste: i famosi Porcellum e Rosatellum. Dunque, nel nostro sistema politico la legge elettorale si rivela uno strumento utile per ricercare un vantaggio in favore di coloro che riescono, mediante occasionali maggioranze, a modificare

Se ne deduce che la nostra democrazia, nata dalla mutua condivisione delle regole, è poi degenerata dal 1994, quando la sopraffazione di una parte sull'altra è diventato il principale criterio di ogni competizione. Non ci deve stupire se, al profilarsi di ogni nuova maggioranza, venga proposta una nuova legge elettorale.

La presente legislatura non farà eccezione perché, oltre a discutere in merito al taglio dei parlamentari, avvierà un acceso dibattito intorno alla modifica della formula elettorale. Ma, come spiegava il politologo Giovanni Sartori "nessun sistema elettorale è neutro". Vale a dire a seconda del tipo di sistema che si intende adottare, questo produce degli effetti che portano vantaggi e svantaggi ai diversi competitori. Tradizionalmente la disputa si svolge intorno a due formule: maggioritaria e proporzionale. I sostenitori del maggioritario ritengono necessario investire sulla semplificazione: chi conquista più collegi governa, anche quando complessivamente non viene votato dalla maggioranza del corpo elettorale. In realtà, nessun sistema maggioritario crea un reale bipartitismo se questo non è già presente nelle intenzioni dell'elettorato, né garantisce un'automatica e chiara vittoria al partito più votato. Pertanto, se la società è refrattaria ad accordare il proprio consenso a un'area più vasta, anziché a un piccolo schieramento, si rischia di creare dei cartelli elettorali utili a vincere le elezioni, ma non a governare stabilmente.

Allo stesso tempo, un monito va rivolto anche ai "proporzionalisti", difensori del principio della rappresentanza di ogni singolo schieramento. Fra loro, infatti, si annidano quanti intendono lucrare una rendita politica, alla luce di una bassa percentuale di consensi. Inoltre, la proporzionale alimenta il moltiplicarsi di partiti e sigle, e questo fattore a sua volta si traduce in una crescente disaffezione dell'elettorato che si rifugia nell'astensione.

In conclusione, il dibattito estremamente tecnico avviato fra i leader delle formazioni presenti e nascenti, ci pone di fronte alla polemica fra chi sostiene la necessità di conferire maggiore efficienza al sistema politico, attraverso l'introduzione della selettività imposta dal maggioritario, e quanti difendono il diritto all'esistenza delle piccole formazioni, non desiderose di allearsi con altri partiti. Strategie e calcoli, finalizzati a massimizzare i vantaggi dei singoli schieramenti. Quindi, valutazioni che non coinvolgono e non stimolano la partecipazione attiva dell'elettore, che da questi ragionamenti appare del tutto escluso.

Forse non era questo il tema più urgente da affrontare. Ancora una volta la società politica decide però di intraprendere una direzione che allarga il fossato con la società civile, anteponendo l'interesse degli "eletti" a quello degli elettori.

Marco Pignotti

(Docente di storia politica, Università di Cagliari)
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