«Ricordo la sua voce. Ricordo le sue parole, quella minaccia violenta che sarà difficile dimenticare». Natalia Vacca Ferrai ha 21 anni e tanto coraggio. Quell’aggressione dell’altra sera, il palpeggiamento di uno sconosciuto mentre andava alla mensa universitaria di via Sulcis, non lo dimenticherà facilmente. Non l’ha voluta rimuovere quando ha scelto di denunciarla, la sua brutta esperienza di ragazza, di donna. Ai carabinieri, nella sua pagina Instagram e alla stampa. «Perché questa vergogna aiuti altre ragazze, le tante che mi stanno scrivendo e che, vittime di violenze sessuali, perché di questo si tratta, non hanno avuto non dico il coraggio ma la mia stessa forza».

La storia

Le venti sono passate da una manciata di minuti quando Natalia, scesa dal bus, si affretta in una strada non perfettamente illuminata, traversa di via Is Cornalias, quartiere di Is Mirrionis, per andare a cena. Studentessa di Giurisprudenza, nata a Barisardo ma residente a Tortolì, si è trasferita a Cagliari da tre anni per frequentare l’Università. «Ero tranquilla, avevo fatto doppi turni alla Croce Rossa, dove faccio la volontaria, e ancora indossavo la divisa. Mi sono inchinata un attimo per allacciarmi la stringa di una scarpa, ho ripreso a camminare e mi sono sentita toccare, palpare da dietro», racconta la studentessa. Poi quella frase. Terribile, ancora più violenta delle mani. «’Una crocerossina me la f….’. Così ha urlato, mentre si avvicinava, nascosto dietro una mascherina e un cappellino. Ho appena incrociato il suo sguardo. Un attimo e sono fuggita, o almeno ho tentato». Le mani di quel balordo, un uomo tra i 30 e i 40 anni, altezza media, hanno agguantato lo zainetto della studentessa per poterla trattenere, afferrare. «Ho reagito, mi sono difesa, gli ho dato una ginocchiata, l’ho colpito ad una coscia ma lui mi ha sferrato una manata sul petto, una botta terribile sullo sterno. Poi la cinghia dello zaino si è rotta e mi sono messa a correre, senza più fermarmi».La mensa universitaria è diventata improvvisamente lontana. «Pensavo solo a rifugiarmi nella mia casa, avevo bisogno di sentirmi protetta. Ma mentre camminavo ho pensato e ripensato a ciò che mi era accaduto, a quell’uomo, alla sua prepotenza. E non ho più avuto voglia di fuggire, di star zitta».

La decisione

La strada era ormai quella della caserma dei carabinieri. «Ho bussato, ma per la denuncia ho dovuto attendere la mattina successiva. A quell’ora tarda, così mi han detto, la stazione era chiusa. Ho spiegato il perché fossi lì, perché mi trovassi in quella strada buia a quell’ora della sera. Mi han domandato perché non avessi telefonato subito al 112», racconta Natalia. «Sono arrivata alle 21 al pronto soccorso del Brotzu, Mi hanno visitato alle 7 del mattino». Una notte su una sedia, sola, ad attendere e rivivere l’incubo. «La radiografia ha escluso lesioni allo sterno, i medici hanno visto i segni della manata sul mio torace». Poi di nuovo in caserma. Per denunciare quello sconosciuto.

I dubbi

Parla, racconta. Parole e silenzio. «Ho avuto tanta incertezza nel denunciare pubblicamente quanto accaduto. Ma è giusto. Per me, per altre donne. Le tante testimonianze che sto ricevendo mi confortano e mi convincono che ciò che mi è capitato può ricapitare. Diverse ragazze mi hanno raccontato episodi analoghi. Anche la descrizione del mio aggressore coincide con le descrizioni di altre ragazze».

Andrea Piras

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