Beniamino Caravita di Torrito di professione fa l'accademico del diritto. Costituzionalista di rango, avvocato di grido e a tempo perso Commissario straordinario della Tirrenia di Stato. E' lui, insieme a Gerardo Longobardi e Stefano Ambrosini, a tenere a galla quel che è rimasto della fallimentare gestione di quella che fu l'ingloriosa compagnia di Stato. Nel suo curriculum c'è di tutto e di più, da componente della Commissione per le riforme costituzionali, nominata dal Presidente del Consiglio dei Ministri Enrico Letta, a numero due del Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti.

Da una Corte all'altra

Per lui non fa differenza la Corte, dal 1992 arringa davanti alla Corte Costituzionale, la Corte di Cassazione, il Consiglio di Stato, la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo sino alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee. Nel Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti arriva nel 2009 come membro laico delle magistrature speciali eletto a scrutinio segreto dal Senato. L'avvocato dal cognome altisonante, però, tra i suoi clienti storici vanta anche Mascalzone Latino, quel Vincenzo Onorato che dallo Stato, nel 2012, ha comprato quella che doveva essere la parte buona della Tirrenia, diventata, poi, Compagnia Italiana di Navigazione. I due si conoscono da tempo memorabile per via delle tante controversie di terra e di mare, per navi e porti. I due oggi, però, si trovano su sponde opposte. Uno, Carovita di Torrito, ha in mano la parola fine per l'ex cliente, l'altro, il mattatore dei mari, tenta l'ultima impossibile arringa per provare a salvarsi da un mare di debiti. Per l'Avvocato il silenzio è regola aurea, per l'avversario le parole, invece, sono come clave da agitare verso chi chiede la restituzione dei propri soldi. Una volta denaro di Stato, un'altra di banche e creditori vari. Ieri è arrivata la resa dei conti finale. Onorato e Company hanno presentato al Tribunale fallimentare di Milano il piano concordatario, una sorta di proposta finanziaria capace di rilanciare la palla in tribuna promettendo ai creditori un po' di denaro oggi e per il resto un sonoro arrivederci tra 5 anni. I comunicati di Cin e Moby parlano di un accordo raggiunto con il 94% dei creditori ma la postilla ha un "però" grande come un grattacielo alto non meno di 740 milioni di euro, tanti sono i debiti della Onorato family. Le banche rivendicano esposizioni per 260 milioni, gli obbligazionisti del bond milionario emesso dalla Borsa del Lussemburgo altri 300 milioni di euro e, infine, ma non ultima, la Tirrenia in amministrazione straordinaria per 180 milioni di euro.

Forbici & debiti

Una valanga di denari che Onorato vorrebbe sforbiciare con la promessa di qualche milione oggi e il pagamento degli altri, sino all'ipotetico 80% del debito pregresso, da liquidare nei prossimi 5 anni vendendo navi e con l'auspicio utopistico di guadagni succulenti. In ballo, però, c'è prima di tutto la credibilità dell'operazione, visto che la compagnia di navigazione negli ultimi 8 anni ha potuto godere di uno smisurato contributo pubblico per 560 milioni di euro. Tutti erogati uno sull'altro, nonostante un servizio di continuità territoriale sempre sotto accusa, dalle navi carretta ai costi alle stelle, per finire con le condanne per l'abuso di posizione dominante e non solo. Nel sottobosco di chi ha affidato a Onorato i risparmi di una vita, attraverso il bond lussemburghese, si fanno somme e sottrazioni. La domanda è esplicita: se la compagnia ha perso sino a 150 milioni di euro nell'ultimo anno, nonostante il contributo pubblico, cosa succederà oggi e soprattutto domani senza sovvenzione statale e in piena crisi mondiale del turismo in seguito alla pandemia? A fare i conti sono anche gli obbligazionisti dell'Ad Hoc Group, tra i quali ci sono gli squali del mercato finanziario mondiale da Soundpoint Capital a Cheyenne Capital, da BlueBay a Aptior Capital sino a York Capital. Tutti loro, però, giocano e decidono con i propri soldi, siano essi risparmi o ambizioni speculative. Chi, invece, non può negoziare è proprio il professore, quell'avvocato delle alte sfere balzato al Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti e alla gestione commissariale della fu Tirrenia.

180 milioni nel Suq

Il pacchetto per lui è blindato. Onorato deve allo Stato 180 milioni di euro per il mancato pagamento delle navi passate nel 2012 alla compagnia di Mascalzone Latino. Fare sconti tipo suq mediorientali è roba vietata dalla legge e dalla morale. Eppure, dopo aver definito irresponsabili i commissari straordinari di Tirrenia che gli hanno fatto sequestrare prima conti correnti bancari e poi le navi, ora il patron di Moby lancia con i suoi scudieri l'appello finale: il Ministero dello Sviluppo economico dia il via libera allo sconto e alla dilazione ulteriore. Evidentemente in largo Augusto, a due passi dal palazzaccio di Milano, sede della Compagnia di navigazione, ignorano le basi elementari del danno erariale. Chiunque desse il via libera per una riduzione di quel debito pubblico ad un privato finirebbe per risponderne personalmente, davanti all'erario e non solo. Si tratterebbe dell'ennesimo regalo di Stato alla compagine di Onorato per il quale l'Unione europea aprirebbe una procedura di infrazione per aiuti di Stato illegittimi ancor prima di vederla conclusa. Gli appelli finali a Beniamino Caravita di Torrito, vice presidente del Consiglio della Corte dei Conti, e agli altri commissari, sono caduti nel vuoto. Il principe del foro non parla.

Niente sconti di Stato

Affida ad una relazione blindata negli uffici dei Commissari la replica alle pretese di Onorato. Il documento che riproduciamo nelle parti integrali è stato approvato dallo stesso Ministero dello Sviluppo economico che ha le mani legate proprio per il contenuto dell'accordo siglato tra la Cin di Onorato e i commissari governativi. L'intesa parte da un presupposto: il Tribunale di Roma, con due provvedimenti, ha di fatto sequestrato i conti correnti di Cin per pagare due delle tre rate dei 180 milioni di euro già scadute. Senza quell'agibilità finanziaria la compagnia avrebbe dovuto chiudere i battenti senza colpo ferire. Fu il Ministero dello Sviluppo economico di concerto con quello dei Trasporti a chiedere di spostare il sequestro dai soldi in banca alle navi. La richiesta fu accolta, mettendo fortemente a rischio il recupero dei 180 milioni di euro. Caravita di Torrito, Longobardi e Ambrosini si fidano di Onorato quanto le galline affidate alla custodia della volpe. E' per questo che blindano con catene d'ancora di nave il passaggio che riproduciamo integralmente sulle garanzie per recuperare quella montagna di soldi dello Stato. I commissari chiedono e ottengono il riconoscimento del debito in favore di Tirrenia in amministrazione straordinaria pari a 180 milioni di euro, l'impegno a mantenere inalterata la garanzia patrimoniale esistente e non opporsi all'esecuzione del sequestro sulle navi di sua proprietà. Non si fidano ancora e, da legali navigati, aggiungono il vincolo finale: irrevocabilità dei sopra menzionati impegni. Visto e approvato dal Ministero competente, quello dello Sviluppo economico. Nei piani alti di Palazzo di Giustizia a Milano, nell'ufficio di Alida Paluchowski, presidente del Tribunale fallimentare, il tempo è scaduto. Se anche ci fosse l'accordo di tutti per farsi pagare i debiti alle calende greche e in forma ridotta in quell'intesa è difficile che ci possa essere la firma di Beniamino Caravita di Torrito. Lui sa cos'è il danno erariale e conosce come le sue tasche la Corte dei Conti.

Mauro Pili
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