Scartata dal lavoro a Cagliari solo perché transgender. A raccontare sui social la sua esperienza è Martina Floris, che conclude con una riflessione amara: «Io probabilmente non farò mai la prostituta, perché grazie al cielo ci sono tantissimi locali in cui non è questo lo spirito. Però il mio pensiero oggi va a coloro che, portate dalle porte chiuse in faccia (ingiuste perché classiste) hanno preso quella strada, obbligate».

L’episodio risale alle scorse settimane. Un’amica le ha proposto di fare una prova nel locale del centro di Cagliari dove anche lei lavora. Floris è titubante: sanno che lei è transgender? L’amica la rassicura: «Sì, si, certo stai tranquilla», le dice, «lo sanno e non è un problema perché sono tutti aperti mentalmente, ti troverai benissimo». 

Così il giorno concordato Floris si presenta in sala e lavora «con il miglior sorriso». A fine turno sembra essere andato tutto bene: «Loro mi sono piaciuti e io sono piaciuta a loro». 

Ma a quanto pare è tutta apparenza. Perché nessuno la ricontatta. Dopo due settimane di silenzio decide di chiedere la motivazione a chi l’aveva messa in contatto con i titolari: «La mia amica ammette  a malincuore che io non sono stata assunta non perché non sia piaciuta lavorativamente, ma perché donna trans e quindi giudicata.  In più» aggiunge  «che sono arrivate delle “lamentele” da parte dei clienti, quindi il proprietario ha deciso di non chiamarmi». 

Il sentimento non può che essere di dispiacere: «Un’altra volta, nel 2023, è  stata più forte la paura di perdere clienti per il pregiudizio,  che il bisogno di personale in gamba». 

Enrico Fresu

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