Qualità delle cure o vicinanza alle strutture ospedaliere con relativi costi: sono questi i principali temi che ruotano intorno alla riforma sanitaria in Sardegna, oggetto di dibattito che vede contrapposte l'applicazione della stessa e le esigenze della rete ospedaliera.

Al centro di tutto - non si dovrebbe dimenticarlo - ci sono i pazienti e il loro diritto ad essere curati. Nel migliore dei modi e senza sprechi. Politici e aspiranti tali ultimamente ne discutono, chi per difendere la riforma, come l'assessore Luigi Arru, chi come i sindaci aderenti all'Anci preoccupati della paventata chiusura delle strutture sui propri territori: da 216 a 156, secondo le stime. Riduzione necessaria dato che il disavanzo economico nel 2016 è stato di 298 milioni di euro. Ma quanto costa ai sardi la sanità pubblica?

Lo chiediamo a un addetto ai lavori, Antonio Barracca, ex dirigente medico all'ospedale Brotzu, specialista in Nefrologia e Urologia. Autore di quasi 200 pubblicazioni scientifiche su riviste nazionali e internazionali, e di monografie e saggi sui sistemi sanitari, ha approfondite conoscenze di informatica e statistica e una visione non solo scientifica, ma anche "socio-economica" su come sia strutturata (male) la nostra sanità.

Se il disavanzo regionale è di 298 milioni, quanto ci costa la sanità?

"Troppo. La Lombardia, regione dove molti ammalati sardi vanno a farsi curare, spende per abitante meno della Sardegna. Questo dovrebbe insegnare molto ai nostri politici".

Cosa pensa della riforma di cui si sta discutendo?

"Vorrei portare un po’ di equilibrio nella discussione in corso. La riforma serve perché la nostra sanità ha costi elevati e modesti risultati in termini di appropriatezza, efficienza ed efficacia. Vorrei anche tranquillizzare tutti: non mi sembra si voglia smantellare il servizio sanitario come alcuni sostengono".

Si possono ridurre i costi?

"I costi della sanità crescono in tutto il mondo perché grazie alle cure sempre più costose si vive di più nonostante le malattie".

Ci sono anche molti sprechi: si possono individuare?

"Ci sono e sono diffusi dappertutto perché non esiste la cultura economica per cui ai costi devono corrispondere benefici. Ecco, a questi ultimi nessuno fa caso. Quindi succede che un ricovero per una stessa patologia in un ospedale sia di tre giorni, in un altro di 7 giorni e dei risultati e delle risorse impiegate non si sappia nulla".

C'è anche l’emigrazione sanitaria: come arginarla?

"Esiste una migrazione sanitaria interna enorme. Vuol dire che i pazienti non si fanno curare nel 'loro ospedale' e preferiscono andare in quelli più grandi (Cagliari e Sassari)".

Migrano anche in altre regioni: perché?

"Un esempio: un gruppo importante di pazienti malati di tumore al polmone si fa curare a Milano. Il motivo è semplice: in Sardegna non c'è una struttura né competenze adeguate".

Come si potrebbe evitare?

"Ci sono medici bravissimi nella penisola che verrebbero a Cagliari per creare una struttura e insegnare ai medici a operare".

L'0spedale Brotzu di Cagliari
L'0spedale Brotzu di Cagliari
L'0spedale Brotzu di Cagliari

E in questo modo curare i sardi nella propria regione.

"La sanità deve occuparsi dei pazienti. Si deve partire dalla conoscenza dei bisogni dei cittadini e dare risposte sulla base delle migliori conoscenze scientifiche. Questo vale per ciascun medico e ospedale".

Le competenze mediche sono sempre adeguate?

"Questo è un tema cruciale del quale nessuno si preoccupa. Invece ogni paziente dovrebbe sapere quali sono le competenze e le capacità del medico che gli sta di fronte. Ma una volta assunti, con un sistema di selezione che non è basato sul merito, non esiste una valutazione periodica delle capacità dei medici, tanto meno in un’epoca in cui le innovazioni della medicina sono impetuose. Ci accontentiamo della sua passata specializzazione. In altre realtà ogni 5 anni si è sottoposti a una verifica 'feroce'".

La riforma è dunque più che mai necessaria?

"Per gli alti costi della nostra sanità e la bassa qualità è necessaria. Si sta cercando di riformarla da almeno 15 anni. Dovremmo ormai aver capito che molte regioni italiane governate sia dalla destra che dalla sinistra hanno un buon servizio sanitario. Il problema siamo noi sardi. Chi vince le elezioni si impadronisce della sanità; nomina persone della sua appartenenza politica; mette all’angolo le persone più competenti e ignora che la politica deve fare il bene della collettività".

Quali punti cambierebbe: come e perché?

"Il tema è complesso ed è giusto guardare ai principi generali. In breve, è necessario ridistribuire i posti letto da dove sono in eccesso, le grandi città verso centri minori. Ma contemporaneamente è necessario far funzionare bene ogni ospedale piccolo o grande che sia. Di questo non si parla e questo è il problema più complesso. Servono competenze mediche certificate, modelli organizzativi nuovi, amministratori competenti. I cittadini devono sapere esattamente quali cure - e di che qualità - vengono prestate nel loro ospedale e per quali, le più complesse, devono spostarsi in altri ospedali".

Quanta strada dobbiamo fare rispetto alle regioni più virtuose d'Italia, per esempio Lombardia, Veneto e Toscana.

"Il progetto di miglioramento ed evoluzione di un servizio sanitario richiede decenni. Perciò non si può ripartire ogni cinque anni al cambio di maggioranza scambiandosi accuse reciproche. Tutti hanno finora fallito. La sanità e la medicina sono attività in cui le capacità organizzative e la scienza medica vanno di pari passo. I medici sono il cardine della sanità. Su questi temi si devono costruire accordi perché si concordi un progetto comune e si lavori assieme nell'interesse dei cittadini. Attualmente cittadini, pazienti e medici sono messi ai margini".

Quale sarebbe il modello più adeguato?

"ll modello più giusto in assoluto è quello che cerca di dare a tutti i cittadini pari opportunità di accesso alle cure. I cosiddetti piccoli ospedali se vogliono sopravvivere, non dal punto di vista economico ma delle cure, devono cambiare radicalmente il modo di organizzarsi e capire a fondo che anche loro devono fare medicina di qualità. Con intelligenza artificiale e robotica molta medicina anche interventistica potrà essere effettuata anche in 'periferia'".

Quali branche della medicina sono più sofferenti in Sardegna?

"Contrariamente a quanto si ritiene è la prevenzione la più in sofferenza. Mi spiego: non mi riferisco ovviamente alle vaccinazioni. Le malattie cardiovascolari, l’obesità e il diabete sono le moderne epidemie. Noi tutti, poiché si possono prevenire, dovremmo preoccuparcene perché fanno parte dei nostri doveri. Tutto questo è assente. Basta pensare che se curassimo bene l'ipertensione potremmo ridurre sensibilmente gli infarti e l'ictus".

Cosa ha comportato e comporterà la chiusura di alcuni ospedali e l’accorpamento delle Asl in Sardegna?

"Qualcuno lo chiamerebbe un cambiamento strutturale. Quello più importante, l'ho già sottolineato, è la capacità di far funzionare bene il sistema. Il problema pertanto non è discutere se un ospedale abbia una etichetta o un’altra. I sindaci stanno facendo un grosso sbaglio. Ogni ospedale deve saper rispondere ai bisogni della propria popolazione. Questi bisogni devono essere conosciuti e spiegati alla popolazione. Ad esempio, se in un ospedale periferico al suo pronto soccorso giungono ogni giorno 12 pazienti, 2 ogni ora; la loro gravità è modesta, codici bianchi e verdi soprattutto. Ogni paziente fa una serie di controlli che spesso durano 5 ore, e ogni visita finisce col costare circa 500 euro.

Serve rivendicare con forza questo tipo di pronto soccorso o serve altro?

"La medicina moderna è concorde nel dire che nei piccoli ospedali non servono le specialità, ma gli specialisti che lavorano in gruppo. Servono i dipartimenti medico-chirurgici".

Ci vorrebbero politici competenti. Chi vorrebbe come assessore in Sardegna?

"Non ho queste pretese. Vorrei solo ricordare che noi medici, in generale, oltre che prenderci cura dei pazienti dedichiamo tanto altro tempo allo studio, alla raccolta dei dati, alla ricerca clinica. Questo nostro lavoro ci porta talora a essere punto di riferimento nelle grandi società scientifiche e in altri ospedali più importanti dei nostri. Ma spesso per i nostri amministratori queste nostre - chiamiamole così - referenze hanno poco valore. Questo è il punto dolente di ogni nostro tentativo di riforma, ignorare il ruolo dei medici e degli infermieri come motore della sanità".

Il Brotzu era (forse lo è ancora?) l'azienda più grossa e complessa tra le aziende sarde: merito di chi?

"Il Brotzu, nonostante tutto, continua a essere l’ospedale di riferimento per patologie complesse e per l'efficienza ed efficacia delle cure. Nella visione moderna dovrebbe diventare un Teaching Hospital perché uno dei nostri punti deboli è la scarsa esperienza degli specialisti alla loro prima assunzione. Anche per questo bisogna avere la forza di farlo nell'interesse dei pazienti e degli stessi medici".

(Redazione Online/CR)
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