Ci sono confini che, per senso di rispetto e cultura, non dovrebbero essere superati. Confini invisibili, ma chiari, tracciati dal buon senso e dalla sensibilità di un popolo che nella fede, nella tradizione e nel sacro trova radici profonde. Eppure, a volte, il desiderio di stupire, provocare o semplicemente di “fare ridere” porta a scelte discutibili.

È il caso della polemica esplosa ieri a Cagliari durante la sfilata di Carnevale, dove un gruppo di amici ha deciso di travestirsi da Sant’Efisio, con tanto di Confraternita e Alter Nos al seguito. Un travestimento che non è stato accolto con ilarità, ma con indignazione e sdegno da parte della maggioranza dei cagliaritani, che hanno visto in questa scelta una grave mancanza di rispetto per il culto del santo tanto amato e venerato in tutta l’Isola.

La Sardegna ha una tradizione di fede radicata e intensa, e Sant’Efisio non è solo un simbolo religioso, ma un vero e proprio emblema identitario. Ogni anno, la processione del 1° maggio non è solo un evento religioso, ma un atto di devozione collettiva, una promessa mantenuta nei secoli per rendere omaggio al santo che, secondo la tradizione, salvò Cagliari dalla peste. «Ridurre questa figura sacra a una semplice maschera di Carnevale ha ferito molti, credenti e non, che hanno condannato l’episodio come un’inaccettabile mancanza di valori», afferma Riccardo Rocca, per tre volte Terzo Guardiano, l’ultima nel 2023.

C’è anche chi ha sottolineato come, in passato, un gruppo simile sarebbe stato allontanato. Oggi, invece, il confine tra ironia e irriverenza sembra assottigliarsi sempre più, con il rischio di svilire ciò che, per molti, rappresenta un pilastro della propria identità.

Le nonne sarde avevano un detto chiaro: «Brulla cun is maccus e lassa stai is santus». Scherza con i matti, ma lascia stare i santi. Un insegnamento forse oggi dimenticato.

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