Dopo le discutibili scelte degli ultimi anni e le bufere per le irregolarità finanziarie, dopo le dimissioni di prestigiosi accademici e lo scandalo per molestie sessuali che aveva coinvolto il marito di una giurata e la casa reale, minacciando l'esistenza stessa della fondazione, nel 2019 il premio Nobel ha ritrovato una rotta più istituzionale, meno ideologica.

Il Nobel per la Chimica è andato agli inventori delle batterie agli ioni di litio; per l'Economia a tre studiosi per l'approccio sperimentale nella lotta alla povertà globale; per la Fisica agli scienziati che hanno aggiornato l'immagine dell'universo; per la Medicina ai ricercatori che hanno scoperto il processo con cui le cellule utilizzano l'ossigeno. Il doppio Nobel per la letteratura è stato assegnato alla polacca Olga Tocarczuk e all'austriaco Peter Handke, personaggi scomodi ma indiscutibilmente "produttori di letteratura".

Tuttavia, il segnale più rilevante di reindirizzamento è stato la consegna del Nobel per la pace al premier etiope Ably Ahmed Ali, scelta che ha avuto vari meriti: di riaccendere i riflettori su una zona disgraziata del mondo, l'Africa orientale; di premiare chi con atti concreti e con un lavoro oscuro, lungo e determinato lotta per risolvere conflitti drammatici; di dare riconoscimento alla sostanza d'importanti riforme, non ai fenomeni mediatici.

Quest'ultimo sembra il meta-obiettivo che ha guidato i risultati della nuova commissione, esemplificati dal rifiuto di premiare per la pace Greta Thunberg.

Dell'educativa storia di Ably Ahmed Ali colpisce un elemento che spiega molte ragioni della scelta e che, inaspettatamente, presenta possibili punti di tangenza con l'auspicata strategia di recupero della nostra Sardegna.

Uno degli obiettivi del programma governativo etiope "Green Legacy", una delle riforme basilari, è infatti di piantare 10 miliardi di alberi in poco tempo. A fine giugno 2019 erano già stati piantati in Etiopia 2,6 miliardi di alberi e in un solo giorno, il 29 luglio, ne sono stati piantati addirittura oltre 353 milioni. Ably Ahmed Ali ha condotto personalmente le operazioni, fautore di una risposta pratica e collettiva alla deforestazione e ai cambiamenti climatici, convinto che la crescita di nuove foreste rappresenti "la soluzione più potente e veloce" tra quelle oggi disponibili.

Fatti concreti, dunque, e cambiamenti decisi da parte di uno Stato che in breve ha modificato il suo atteggiamento verso il presente e il futuro, ottenendo non solo un'impennata del Pil (l'economia si è rivitalizzata), ma credito e immagine. Tuttavia i numeri mi hanno preoccupato: se volessimo anche noi lanciare un progetto di "Radici Verdi" e far ritornare la Sardegna alla situazione boschiva dell'inizio dell'800, prima dei piemontesi e dei toscani, che investimenti mostruosi occorrerebbero per piantare miliardi di alberi, e quante decine di migliaia di addetti?

In realtà, se si rispettano alcune condizioni e si seguono i metodi corretti, i risultati ottenuti dall'Etiopia non sono irraggiungibili, ma trovano riscontri anche in altri Paesi, e con costi molto ragionevoli. Senza addentrarsi sugli aspetti tecnici, è certamente possibile concepire un progetto strategico di ricostituzione boschiva che possa consentire, nel corso di una ventina d'anni, di riportare la nostra Sardegna a uno stato di forestazione ottimale, antica, con boschi misti di tutte le età. Occorre rispettare le aree a vocazione forestale e la macchia esistente, senza sbancamenti, e concentrarsi evitando forzature sulle nostre piante autoctone, sughera, leccio e roverella; utilizzare le infinite ghiande a disposizione, vivai volanti nelle diverse zone e macchinari adatti per gli scavi. Possiamo contare su migliaia di Forestali, che in forza sono circa cinquemila, su avventizi (i giovani che oggi manifestano, i disoccupati?) e sulle competenze esistenti. Niente d'impossibile, neanche in termini d'investimento, e con meravigliosi ritorni: una Sardegna bella e boscosa, restituita al suo naturale mantello, rappresenterebbe un prerequisito di valore per qualsiasi visione di sviluppo agropastorale, turistico, archeologico e culturale.

Un approccio keynesiano-comunitario come quello di Ably Ahmed Ali scatenerebbe esplosive energie e ci restituirebbe identità e speranze. Smettiamo di parlare, dunque, e iniziamo a salvare il nostro mondo.

Ciriaco Offeddu

(Manager e scrittore)
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