Nella tenda di Achille: il commento di Paolo Fadda
La politica incapace di elaborare delle proprie sceltePer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Da un po' di tempo in qua, ci si trova qui in Sardegna nel pieno d'una vera e propria stagione dell'indecisione, o - per un più severo giudizio - dell'inconcludenza. Nel senso che, da diversi anni, ad ogni indirizzo di sviluppo se ne è contrapposto uno del tutto opposto, con il risultato che non si riesce a decidere più nulla. A partire da cosa sia più opportuno e necessario fare per venire fuori finalmente dalle sabbie mobili della pesante recessione che ci affligge. Incertezza e inconcludenza che sono poi il derivato dell'impreparazione e del pressapochismo assai presenti nell'attuale personale impegnato in politica.
Chiamare in causa la politica non è certo casuale, giacché - Machiavelli docet - la sua più importante virtù dovrebbe essere quella della decisione. Cioè, per dirla ancor più chiaramente, quella d'avere il coraggio e la capacità d'indicare le scelte da effettuare, accompagnandoli con la volontà e la fermezza per imporne l'attuazione.
Oggi, purtroppo, si assiste a ben altro, con la politica che, nel suo operare, appare incapace d'elaborare delle proprie scelte, andando così troppo spesso a rimorchio d'interessi terzi, non sempre peraltro virtuosi.
Per cercare di comprendere quest'involuzione, occorrerebbe riesaminare quel che è avvenuto in questi ultimi decenni. Con i partiti e i movimenti politici che hanno fatto un passo indietro, delegando il potere di governare l'Isola a persone al di fuori dei loro gruppi dirigenti.
Così sono assurti a governanti dell'isola, e delle sue sorti, personaggi senza un background politico alle spalle, ma con il mandato, abbastanza generico, di dover governare "per conto". Si sarebbe trattato, come molti sostengono, di un'evidente autocastrazione della classe politica, che, resasi consapevole delle proprie insufficienze, ha ritenuto di doversi fare da parte, affidando le responsabilità governative a magistrati, professori, professionisti od alti burocrati. Il risultato non è stato certo confortante, avendo determinato una lunga serie di incomprensioni e di malintesi fra elettori, eletti e quei governanti cooptati, di cui le controverse e sterili vicende della riforma sanitaria e della legge urbanistica paiono le più eclatanti.
Eppure l'attuale società sarda, per quel che risulta, appare, nelle sue diverse articolazioni, ben differente. Più indirizzata nel voler riuscire a fare che al non poter fare. Si può infatti contare su di un ceto medio produttivo (la borghesia "del fare", secondo il lessico marxiano) non molto numeroso ma assai coraggioso e ben determinato nel voler realizzare un deciso rinnovamento della realtà sociale isolana. Che avrebbe però necessità, per emergere e moltiplicarsi, di una politica attenta ed efficiente, che gli fosse al fianco. Quel che li distingue dai borghesi del secolo scorso è che - delusi da quelle inconcludenze - hanno ormai abbandonato ogni impegno partecipativo alla vita sociale. Rinunciando così al loro ruolo storico di essere il fulcro della classe dirigente: nel proprio comune, come nella Regione o nel Paese. Non diversamente da Achille, si sono ritirati sotto la loro tenda, segnando sdegnosamente la loro separatezza nei confronti di una classe di politici divenuta sempre più distante, autoctona ed autoreferenziale.
Potrà porsi fine a questa colpevole apartheid? La manifestazione dei trentamila di Torino, espressione proprio dell'esistenza e della vitalità di quei ceti medi produttivi, fa ben sperare che anche qui da noi, in Sardegna, si possa contare a breve su di una simile mobilitazione per rivendicare quell'orgoglio borghese (chiamiamolo pure così), che è poi niente altro che la disponibilità, il coraggio e l'impegno ad aprirsi agli altri, a dar loro una mano, a far sì che con i risultati del proprio lavoro si possa realizzare il bene comune.
Paolo Fadda
(Storico e scrittore)