Da qualche giorno a questa parte i quotidiani nazionali e regionali hanno versato fiumi di inchiostro sulla bufera che ha letteralmente travolto la magistratura italiana in seguito a quello che è stato ribattezzato come il “Caso Palamara”.

Di certo, ferma restando la presunzione di non colpevolezza, a prescindere dalle dichiarazioni a discarico che il magistrato vorrà rilasciare, le quali dovranno andare necessariamente soggette a riscontri probatori, come pure le ipotesi accusatorie sollevate a suo carico, è chiaro che quest’ultima vicenda costituisce solo la punta di un iceberg e, sinceramente, manco suscita troppo scalpore considerato che ormai è già da diversi mesi che giungono alla ribalta delle cronache notizie inerenti le indagini e gli arresti eseguiti nei confronti di magistrati di prim’ordine.

In Sardegna, ad esempio, nessuno di noi avrà dimenticato il caso del giudice dell’esecuzione in forze al Tribunale di Tempio Pausania accusato, unitamente al suo perito, di falso, abuso d’ufficio e turbativa d’asta, per aver favorito l’aggiudicazione, ad un prezzo nettamente inferiore al valore reale, di un immobile mozzafiato a favore di altri due suoi colleghi. Vicende che contribuiscono, nel loro complesso, a minare la già fragile fiducia del cittadino nei confronti dell’Autorità Giudiziaria la quale appare sempre più lontana da quell’ideale di giustizia suprema, di terzietà e di imparzialità che dovrebbe sorreggerla nella sua funzione e che dovrebbe sottoporla unicamente alla legge.

Laddove, e solo se, gli addebiti a carico di Palamara dovessero risultare fondati, allora sarebbe utile e doveroso capire se si tratti di fatti isolati, determinati dalla debole e fallibile natura umana o se, invece, esista realmente un vero e proprio contropotere giudiziario irresponsabile ed incriticabile, contaminato e corrotto da quello politico/esecutivo, avulso dunque da quella che dovrebbe essere la sua funzione naturale, e quale sia il ruolo del CSM nell’ambito di questo meccanismo laddove davvero pericolosamente esistente. E sarebbe quindi del pari altrettanto utile e doveroso capire quale sia il reciproco rapporto tra i tre grandi poteri dello Stato, ossia quello legislativo facente capo al Parlamento, quello esecutivo facente capo al governo, e quello giudiziario facente appunto capo alla magistratura.

Il giudice Palamara (Ansa)
Il giudice Palamara (Ansa)
Il giudice Palamara (Ansa)

Detto altrimenti, in buona sostanza, occorrerebbe capire se, come da più parti lamentato, sia proprio vero che i summenzionati poteri legislativo ed esecutivo siano entrati in una dimensione di crescente mortificazione e sofferenza a fronte del dilagare del contropotere giudiziario che su di essi parrebbe farla da padrone e/o, invece, tutti e tre si rimpallino di volta in volta la supremazia in un gioco senza esclusione di colpi. Sinceramente, se davvero le ipotesi accusatorie rivolte a Palamara dovessero risultare veritiere, allora sarei mio malgrado indotta a ritenere che il rapporto tra i tre grandi poteri dello Stato sarebbe da concepirsi come una sorta di “menage a trois” all’interno del quale non ci sarebbero vittime e carnefici ma solo due coniugi (potere legislativo ed esecutivo) ed un amante (potere giudiziario) del pari, i primi due, necessitanti l’uno dell’altro ed entrambi, insieme, del terzo per mandare avanti un rapporto sbilenco dove i protagonisti non possono stare insieme ma neppure separati siccome destinati a convivere, e per ciò stesso a patire, perché incapaci di prevalere definitivamente l’uno sull’altro.

E giammai si faccia l’errore di ritenere che la risposta ai ridetti interrogativi sia solamente uno sterile esercizio di speculazione filosofico-politica priva di effetti pratici perché è dal lontano 1992 che stiamo assistendo impotenti e sottomessi ad una guerra intestina tra quella classe magistratuale che veniva presentata come garante assoluta contro il dilagare della corruzione di una certa classe politica e quella stessa classe politica che, invece, gridava allo sdegno per quella che più che una lotta contro la corruzione assumeva i contorni di una lotta contro l’imponente potere politico in quanto tale ed in se e per se considerato.

Giustizialismo e garantismo si sono affrontati in una aspra battaglia, ma a quanto pare, ad uscirne vincitore potrebbe essere stato solo l’amore per la spartizione e la gestione del potere ad ogni livello. Tanto più quando, la stessa Corte Costituzionale, con una recentissima, quanto singolare, sentenza, la n. 170 del 20 luglio 2018, nell’affermare espressamente che “non è contraddittorio né lesivo dei diritti politici consentire ai magistrati di partecipare… alla vita politica, anche candidandosi alle elezioni o ottenendo incarichi… e, al tempo stesso, prevedere come illecito disciplinare la loro iscrizione a partiti politici nonché la (loro) partecipazione sistematica e continuativa all’attività di partito”, sembra averne in qualche modo legittimato e confermato l’interferenza attiva su quelle vicende mondane (per così dire) riducendo a semplice illecito disciplinare la loro commistione con le vicissitudini e le dinamiche partitiche. Di subire il fascino della poltrona può capitare ad ogni magistrato così come ad avere bisogno di una certa (perché viva Dio esistono anche magistrati integerrimi) magistratura compiacente può ben capitare ad ogni politico. Eppure io mi rifiuto di accondiscendere a questo stato di cose se davvero come tale si dovesse manifestare. Intanto, perché la magistratura dovrebbe, come di fatto deve, sempre e comunque rimanere terza ed imparziale ad ogni vicissitudine umana e governativa che non sia strettamente connessa alla sua funzione giacchè i giudici, per espressa previsione costituzionale (art. 101, 2° comma), sono soggetti soltanto alla legge, quindi al solo potere legislativo e alle leggi e non anche al potere esecutivo con buona pace di qualche esponente di spicco dell’attuale governo giallo verde.

Quindi, perché, di conseguenza, questa semplice e chiara enunciazione implica l’attuazione piena, costante ed invalicabile del principio della separazione dei poteri con buona pace pure della Corte Costituzionale. Inoltre, perché, come ulteriore conseguenza, se è vero, come è vero, che per il principio della separazione dei poteri è oltremodo necessario proteggere i magistrati dal potere esecutivo, tuttavia, è altrettanto vero che è oltremodo necessario proteggere la legge, rectius il potere legislativo, dai magistrati. Infine, perché se così stanno le cose alla luce della lettera del richiamato articolo 101, 2° comma della Costituzione, allora è lapalissiano che mai e poi mai ad un magistrato può essere consentito di partecipare attivamente alla vita politica del paese e/o avere commistioni ambigue coi membri del Governo e/o i politici in genere a bassi o ad alti livelli.

Sergio Mattarella, presidente della Repubblica (Ansa)
Sergio Mattarella, presidente della Repubblica (Ansa)
Sergio Mattarella, presidente della Repubblica (Ansa)

Il discorso è lungo e necessiterebbe di riflessioni ulteriori, ma certo è che nella situazione di attuale trambusto il Consiglio Superiore della Magistratura sembra avere drasticamente fallito nel suo ruolo di garante dell’indipendenza e dell’autonomia dell’ordine e siamo solo noi poveri cittadini a pagare sulla nostra stessa pelle il prezzo di questa che ha tutta l’aria di essere una assurda scalata al potere.

Il silenzio del Presidente della Repubblica Sergio Matterella di fronte a tutta questa vicenda sarebbe anch’esso un ulteriore atto colpevole inferto al cuore degli italiani i quali necessitano di un segnale chiaro e preciso da parte della più alta carica istituzionale. Il CSM nella sua composizione attuale dovrebbe essere sciolto e si dovrebbe mettere mano ad una riforma della giustizia che responsabilizzi e sanzioni l’attività dei magistrati e che renda finalmente effettiva la divisione tra i tre grandi poteri dello stato affinché la giustizia sia davvero amministrata in nome del popolo e non invece in nome di biechi interessi privatistici tendenti al mero scambio di favori. Anche a prescindere da come si risolverà la questione Palamara, è giusto dire basta non solo ai giudici, ma anche ai politici corrotti perché è fin troppo evidente che gli uni non esisterebbero se non esistessero gli altri.

Giuseppina Di Salvatore

(avvocato - Nuoro)
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