La nostra appartenenza a un'etnia, un'idea di patria, famiglia o religione passa ogni mattina attraverso il riconoscimento di una nostra identità personale. In pratica aderiamo a quelle concrezioni del "me stesso" che si sono formate attraverso le nostre esperienze, cultura ed educazione.

Il processo identitario, a volerla semplificare con una paragone chimico, parte da quella saturazione di valenze libere da parte di istanze amicali, familiari e sociali alle quali un nucleo oscuro della nostra personalità è sensibile. Queste concrezioni, che cominciano dai nostri primi rapporti sociali nei primissimi anni di vita, determinano l'ulteriore terreno di adesione per credenze e ideologie che rappresentano l'esoscheletro identitario.

Un nostro illustre conterraneo, il filosofo Remo Bodei, ha dedicato un poderoso quanto appassionante saggio che cerca di chiarire qual è e come formiamo la nostra identità personale. Una parte interessante del saggio, che è stata trattata con passione e competenza in un articolo di Maurizio Ciotola, è quella concernente i rischi ai quali oggi il concetto di identità personale è soggetto.

Il fatto che la società liquida e digitale sia il metronomo che detta il passo dei correlati "da non perdere" da appiccicare alle nostre caratterizzazioni interfacciate socialmente è il dato che giustamente più preoccupa Bodei come Ciotola.

Perché questo allarme è terribilmente attuale e dovremmo tutti darcene atto?

Perché l'incertezza nella costruzione e nella solidità dell'edificio identitario è così densa di sinistri presagi come benissimo dice Ciotola?

La verità è che non tutti i motivi possono essere enucleati dal "cuore di tenebra" che anche il più candido tra gli uomini conserva in modo sempre operativo. La struttura della nostra identità si coniuga con la dinamica delle nostre abitudini (l'habitus dei romani) ed esse appartengono all'area del nostro cervello più ricca di connessioni semiautomatiche, un misto tra regioni corticali (pienamente senzienti, di solito) e regioni ancestrali deputate alla costruzione di istanze vitali aventi come referente la massima ricompensa e piacere.

Noi le seguiamo in un perenne combattimento con la Norma, che invece appartiene alla parte più razionante del nostro cervello (aree prefrontali) ed ingaggiamo battaglie silenziose con la soddisfazione e la ricompensa che ci dà l'attenerci alle nostre abitudini o chinarci nella frustrazione alla Norma alla quale dobbiamo cedere quarti di sovranità.

E qui differiamo l'un l'altro terribilmente di fronte a tutto: a Dio, alla Patria ed alla famiglia, giusto per essere roboanti. Ed è questo il vero territorio di conquista dei moderni barbari.

L'intelligenza artificiale non sostituirà l'uomo, possiamo esserne sicuri, ma un algoritmo micidiale può entrare nelle nostre preferenze e desideri più segreti con estrema facilità, e questa è esperienza quotidiana! L'ideale sarebbe che un substrato (un tempo chiamato educazione) conciliasse abitudini, norme e quindi pacificasse queste con la nostra identità personale.

Ricordate il ministro Padoa Schioppa quando diceva che pagare le tasse era bello? Era espressione del suo sentire, una felice combinazione tra la soddisfazione di una ricompensa (rewarding, quando parliamo dei topi di laboratorio), un habitus, una identità personale ed una sincronia aulica con la Norma. Kant ne sarebbe stato deliziato.

Francesco Marrosu

(Neurologo)
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