"Sono iniziate correnti immigratorie che in assenza di un accelerato processo di sviluppo che abbracci tutta la riva sud del Mediterraneo sono destinate a gonfiarsi in un modo impressionante, e saranno delle tendenze inarrestabili e incontrollabili. Paesi con popolazioni giovanissime, le quali naturalmente vanno…verso le luci della città se noi non accenderemo il maggior numero di luci in quei paesi. In realtà le grandi nazioni ricche del mondo non compiono, non sono ancora in grado di compiere lo sforzo che viene considerato uno sforzo necessario per ridurre queste distanze. Le distanze sono assai grandi, abissali, ed è questa – ripeto – la questione sociale del nostro secolo".

Questo annunciava Bettino Craxi, con indiscussa lungimiranza e profonda umanità, moltissimi anni fa. E ora come allora, purtroppo, le grandi nazioni ricche del mondo, tra cui parrebbe inclusa anche la nostra Italia, lungi dall’aver fatto tesoro di quelle parole ed essersi attivate per ridurre quelle distanze al fine di evitare i fenomeni migratori di massa, si mostrano ancora oggi completamente impreparate ad affrontare consapevolmente, e soprattutto regolamentare in modo condiviso, la questione.

La comunicazione violenta costantemente utilizzata dal ministro dell’Interno, peraltro limitata ad hashtag demodé, ma a quanto pare ad effetto come "porti chiusi" e "difesa dei confini nazionali", curiosamente in perfetto stile renziano da cui pare avere tratto insegnamento, non solo ha sostituito quella della diplomazia e del dialogo ingenerando nella popolazione pericolosi sentimenti di odio, di chiusura e di paura verso lo straniero, ma ha anche palesato la totale mancanza di un progetto politico utile a risolvere concretamente la situazione o, quanto meno, a tenerla sotto controllo medio tempore.

Intanto, perché, per quel che mi risulta, e grazie al cielo, non ci troviamo in stato di guerra e/o sotto pericolo di un attacco armato volto a colonizzarci, sicché non si rende più necessario difendere i confini nazionali, ma anzi lo stesso parlarne si rivela addirittura tristemente anacronistico.

Quindi, perché, ai nostri giorni, ad essere difesa e opportunamente gestita in termini di sicurezza, deve essere la libertà di movimento di ogni individuo, italiano e non, essendo un diritto fondamentale di ogni essere umano potersi spostare dal proprio Paese natio non solo per sfuggire alla guerra e a trattamenti disumani, ma anche per cercare condizioni di vita e di lavoro più favorevoli.

Poi, perché la misura della chiusura dei porti nazionali alle navi battenti bandiera straniera, sebbene in linea di principio possa rinvenire un fondamento giuridico in quelle norme di diritto internazionale che appunto lo consentono, da un lato, per ragioni commerciali in casi eccezionali e gravi (Convenzione di Ginevra del 1923, art. 16), dall’altro per ragioni di sicurezza dello Stato rivierasco (Convenzione di Montego Bay del 1982, art. 25), tuttavia, non può tradursi nella violazione delle disposizioni di cui alle ulteriori Convenzioni di Amburgo del 1979 e di Londra del 1974, le quali stabiliscono un obbligo di soccorso e di assistenza delle persone che si trovino in stato di pericolo in mare da attuarsi mediante la prestazione del consenso allo sbarco in un porto sicuro finché il pericolo non sia cessato, o nella violazione degli articoli 1113 e 1158 del nostro Codice della Navigazione, ai sensi dei quali non soccorrere i naufraghi costituisce reato.

Infine, perché il su richiamato provvedimento restrittivo di chiusura dei porti non può neppure porsi in contrasto con la tutela dei diritti umani, la quale si estrinseca pure nel famoso principio del non – refoulement (divieto di respingimento di massa) di cui all’art. 33 della Convenzione di Ginevra del 1951, la cui violazione ha già esposto il nostro Paese a severe condanne da parte della Corte di Strasburgo ai sensi dell’articolo 3 della CEDU, ossia, in poche parole, per aver ricondotto i migranti da noi non accolti in porti non sicuri esponendoli al pericolo di trattamenti disumani.

Detto questo, non voglio certo dire che l’intento del ministro dell’Interno sia insensato e non si debba contrastare l'immigrazione irregolare. La si deve contrastare eccome. Dico solo che, a mio modo di pensare, il metodo adottato, oltre ad essere contraddittorio (giacché pretende di garantire la sicurezza attraverso la chiusura dei centri di accoglienza lasciando per strada, in maniera incontrollata, centinaia di migranti affamati e infreddoliti), non è corretto né sul piano politico né su quello giuridico, e ancor meno su quello umano, siccome finisce per ripercuotersi del tutto ingiustamente invece che sui reali responsabili, ossia gli spietati organizzatori di questi viaggi della speranza, su poveri esseri umani, per lo più donne (molto spesso oggetto di stupro) e bambini, vittime tanto della condizione di disagio e di sfruttamento umano ed economico che sono costretti a subire nei loro Paesi d’origine, nonché degli spietati traghettatori di morte che speculano sulla loro pelle.

Comprendo che in una situazione quale quella attuale, caratterizzata dall’incapacità del Governo di costruire un dialogo misurato con l’Europa, cercare di perseguire la strada della modifica degli accordi di Dublino sia oltremodo difficile sia per i tempi di attuazione sia per la mancanza di unanimità di consenso dei Paesi aderenti.

Comprendo anche che non sia semplice, altresì, emulare quanto fatto da Berlusconi, il quale, piaccia o meno, grazie alle sue indiscusse doti di mediazione e al rispetto di cui ha sempre goduto sul piano internazionale, riuscì concretamente ad arginare il fenomeno immigratorio sottoscrivendo con Gheddafi il famoso trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra l’Italia e la Libia, finalizzato a contrastare in maniera congiunta i commercianti di schiavi e l’immigrazione clandestina a fronte del riconoscimento di un risarcimento, all’ex colonia libica, pari a 5 miliardi di dollari per i danni inflittale dal nostro Paese durante il periodo coloniale.

Tuttavia, lo ribadisco, la soluzione, diversamente da quanto mostra di ritenere il ministro dell’Interno, non può neppure essere quella di trincerarsi dietro hashtag preconfezionati e aggressivi sintomatici di profonda immaturità sul piano politico e del tutto inidonei a perseguire lo scopo.

Piuttosto, sarebbe utile a far fronte alla situazione contingente, ricercare la complicità e l’alleanza di altri Paesi membri e non, geograficamente esposti agli sbarchi come la Spagna, la Grecia, Cipro e Malta, al fine di stabilire una sorta di codice di condotta che imponga a ciascuno, a turno, di farsi carico dell’accoglienza indicando nel proprio territorio i porti cosiddetti sicuri, per poi costituire tutti insieme un asse unitario sufficientemente forte che possa indurre l’Europa a rivedere, in senso maggiormente egualitario, le regole di redistribuzione dei migranti di volta in volta accolti e controllati nello Stato di primo approdo. La strada da percorrere è lunga, e certamente necessita di tempo, ma è necessario intraprenderla con fermezza e serietà, perché se oggi ci troviamo a dover far fronte alle migrazioni di massa, un domani non tanto lontano, in assenza di iniziative volte a ridurre le distanze tra il nord e il sud del mondo, potremo ritrovarci a dover fronteggiare la rivolta degli affamati.

Giuseppina Di Salvatore

(avvocato - Nuoro)
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