Quattordici sono i centesimi in più, per un litro di latte, rispetto all'inizio della vertenza. E quattordici sono i giorni trascorsi (invano) dalle elezioni regionali. Due storie apparentemente slegate, eppure figlie della stessa madre: l'incapacità della classe dirigente sarda nello scrivere regole chiare per chi, poi, dovrà applicarle.

Partiamo dalla filiera del pecorino. Un anno sì e l'altro pure si scontrano, da generazioni, chi produce il latte e chi lo trasforma.

La Regione cosa ha fatto? Ha avuto il merito (trasversale) di inventare misure economiche per sostenere pastorizia e caseifici, ma non ha mai subordinato i pagamenti al rispetto di un piano. Semplicemente perché quel piano non ha mai avuto il coraggio di scriverlo. Abbiamo già sottolineato che nella filiera del latte qualcuno bara. Ci sono troppe pecore rispetto al latte che il mercato può assorbire? Oppure: perché si insiste nel produrre troppo Pecorino romano, formaggio che i sardi nemmeno conoscono e quindi non consumano? A chi fa comodo avere zone d'ombra? Magari anche alla politica, che può fare il bello e il cattivo tempo per ingraziarsi, quando serve, il mondo dei campi. Fantapolitica? Può essere, ma in su caddaxiu il latte non è sempre bianco. Migliaia di allevatori raccontano con orgoglio di produrre qualità. Tra benessere degli animali in stalla e pascolo sano, le cellule somatiche e la carica microbica sono straordinariamente migliorate rispetto al passato. Ma, alla fine, il 60% del latte sardo finisce nel calderone del Romano, il formaggio più comodo da produrre.

Alla faccia dei soldi investiti da mamma Regione (o dall'Europa matrigna) per diversificare le produzioni di formaggio. Qualcuno ha verificato se quelle risorse (pubbliche) hanno seguito la strada maestra prevista dal bando? La protesta dei pastori - qua e là annacquata da quattro delinquenti da smascherare subito - ha avuto il merito di sollevare l'attenzione di tutti su un mondo da sempre lontano, anche da troppi sardi con la puzza sotto il naso. E visto che il ferro è caldo, l'accordo firmato venerdì a Sassari va subito ripreso in mano per ancorare il prezzo del latte non solo al Romano, ma a tutti i pecorini e alla ricotta. Basta alibi. Anche per le cooperative che delegano agli industriali la vendita di una parte del Romano, salvo poi piangere se si chiudono accordi con la grande distribuzione a 5,20 euro al chilo, meccanismo che ha contribuito a far precipitare il latte a 60 centesimi al litro. Il Governo centrale avrà pure colto opportunisticamente l'attimo, ma ha avuto il merito di spostare su un formaggio sardo risorse che, sinora, avevamo visto soprattutto per Grana e Parmigiano. Ma la soluzione non può essere solo spendere i soldi di tutti per comprare le eccedenze di pecorino da distribuire ai poveri. Servono regole certe per stare sul mercato. Serve il rispetto delle quote di produzione per il Romano cui l'Europa ha assegnato da tempo il bollino blu, la Denominazione di origine protetta. E a proposito di Ue, va rilanciata la proposta avanzata sulle pagine dell'Unione Sarda dall'ex ministro Francesco Saverio Romano: il latte ovino deve rientrare tra i prodotti primari sostenuti dalla Politica agricola comune. Serve un gioco di squadra con Grecia, Spagna, Romania e Francia. E visto che Matteo Salvini ripete di avere a cuore le sorti dei pastori sardi, potrebbe essere una delle priorità del prossimo parlamento europeo, alla vigilia della revisione di spesa della Pac 2021-2027. E il Viminale bene farebbe a farci capire e sapere (a proposito di regole certe) dove si è inceppata la macchina dello scrutinio. L'ufficio centrale elettorale ha le risorse necessarie? Si lavora il sabato? La domenica? Non è forse prioritario dare ai sardi un Consiglio regionale e quindi una Giunta che aggrediscano subito i problemi? Quattordici sono i centesimi in più che i pastori per ora hanno spuntato nella loro battaglia per dare valore e dignità alla quotidiana fatica. Quattordici sono i giorni trascorsi dalle Regionali. Gli uomini sbagliano (qualche presidente di seggio andrebbe "radiato"), tanto più se hanno un mandato politico. Che la legge elettorale fosse un mostro lo sapevano tutti, ma in cinque anni si sono voltati dall'altra parte. Ecco perché sarebbe cosa buona e giusta - accanto a energia, trasporti, sanità, agricoltura... - inserire tra le priorità la riforma della legge elettorale. Cancelliamo una vergogna.

Emanuele Dessì
© Riproduzione riservata