I radar non le hanno mai segnalate. Gli Ais, i sistemi di identificazione automatica, rigorosamente spenti. Nel buio della notte e nel silenzio dell'inverno stranissime navi oceanografiche hanno passeggiato in lungo e in largo per la costa della Sardegna occidentale. Dal profondo Sulcis, terra geologicamente antica come poche, sino al battente di Capo Caccia, ad Alghero. Sali e scendi, avenue e street in mezzo al mare, alla ricerca del profondo sottosuolo marino. Micidiali plotoni di bombe sismiche calate nell'aldilà del mare. Potenza illimitata per registrare la rifrazione a due passi dalla costa sarda. Nei manuali dei novelli cercatori di petrolio e gas in mezzo al mare le chiamano prospezioni geofisiche, in realtà sono delle vere e proprie radiografie che studiano la propagazione di quelle onde nell'inconscio del mare. Se i riflessi si ammorbidiscono vuol dire che là sotto, al posto della roccia o del sale cristallizzato in milioni di anni, c'è petrolio o gas.

Gli invasori - In Sardegna, senza che nessuno sapesse niente, è arrivato di tutto. Bandiere di ogni colore, da quella a stelle e strisce dei texani sino ai norvegesi. Navi sottotraccia. Chi dichiarava lo studio della posidonia, chi l'incidenza della temperatura del mare sulle specie ittiche. Tutte storielle di copertura. In realtà registravano dati su dati, maglie larghe e strette, per capire cosa nascondesse il sottosuolo del mare sardo, quello diventato, con il blitz all'Onu, Zona Economica Esclusiva dell'Algeria. Salvo prova contraria.

Quei dati sono in cassaforte. Un mercato di numeri, latitudine e longitudine, potenziali giacimenti e barili. Roba da spionaggio industriale, 007 al servizio delle compagnie petrolifere. In quelle carte molto spesso il bianco ha un significato che i comuni mortali non possono tradurre. Salvo entrare in possesso delle mappe del nemico. Per molti, quelle navi fantasma nella costa occidentale della Sardegna, sono apparse come una suggestione. Ora, però, ci sono troppe prove per negare l'evidenza. Nel mare sardo si sta giocando una partita pesante. Petrolifera, strategica ed economica.

Le prime certezze non nascono dai numeri ma dalla mossa azzardata e spregiudicata dell'Algeria. Una data, quella del decreto che istituisce la Zona Economica Esclusiva davanti alla Sardegna, che costituisce il perno di quanto è accaduto e sta accadendo nelle diplomazie di mezzo mondo. Il 18 marzo del 2018, quando il presidente Bouteflika firma l'occupazione del mare sardo, in pochi sanno quello che sta per succedere. Lo sa certamente l'Eni, che dopo qualche giorno da quell'autografo in calce al documento, saluta con caviale e champagne i nuovi investimenti nell'offshore algerino, in realtà quello sardo. C'è, però, chi quella notizia la conosce molto prima anche dell'Eni.

Le mire turche - È il primo marzo del 2018 quando il leader turco Erdogan vola in Algeria. Il padre padrone della Turchia non è uno che si muove facilmente. Quando sbarca ad Algeri lo accolgono come un messia. Incontri fitti, come se il nuovo profeta ottomano dovesse dettare l'agenda e i confini del rinato impero turco. Dove c'è crisi nei paesi arabi c'è Erdogan. Davanti o dietro, lui c'è sempre. L'Algeria è un enclave decisivo per l'estensione delle sue mire sul Mediterraneo, compreso soprattutto quello occidentale. Conosce a menadito le norme che regolano i confini a mare, le ha sperimentate su tutti i fronti: chi prima arriva è padrone. Se, poi, hai una potenza militare capace di minacciare il gioco è fatto.

I vertici militari italiani scrutano da lontano. Le mosse turche davanti a casa nostra non sfuggono agli strateghi militari. I generali lo scrivono, in pubblico e in privato. Nessuno li ascolta. Solo il 18 marzo dell'anno dello scippo 2018 si capirà che la missione di Erdy in Algeria non era una rimpatriata. Recep Tayyip Erdogan è sornione in pubblico, esplicito in privato. Nella giornata dei salamelecchi il tribuno turco ha il tempo di firmare sette accordi di cooperazione con la Sonatrach, l'Eni algerina, e due aziende turche. Investiranno un miliardo di dollari, ovviamente nel settore petrolifero.

La conquista - Nei racconti secretati ci sono mezze parole e frasi sibilline: l'Algeria non ha mezzi sufficienti per pattugliare la nuova Zee, ma la Turchia sì. E negli ambienti più riservati la preoccupazione non è per l'Algeria ma per ciò che c'è dietro. Erdogan guarda a quella nuova conquista dei suoi amici musulmani come un tassello della smania ottomana. E questa volta nelle sue ambizioni c'è il Mediterraneo occidentale. E per far capire che le sue non sono parole al vento racconta quello che in molti in Italia hanno fatto finta di non vedere.

È venerdì 9 febbraio 2018 quando la nave piattaforma dell'Eni, la Saipem 12000, finisce nelle mire delle navi militari turche. L'ammiraglia petrolifera dell'Eni si sta muovendo all'interno della zona economica esclusiva dell'offshore di Cipro. La Turchia non ha mai riconosciuto la sovranità di quell'isola in quello specchio acqueo. Il colosso italiano a sei zampe, però, lì, in quell'area, detiene diritti esplorativi.

Erdogan non la pensa allo stesso modo. Il racconto dei media greco-ciprioti è cruento. Via radio i turchi con gli italiani sono espliciti: abbandonate immediatamente l'area o sarete speronati. Il ministero della Difesa italiano comunica: abbiamo seguito a distanza la crisi, avevamo in zona la fregata Zeffiro della Marina Militare. A distanza, appunto. La nave della Saipem in fuga. Lontana mille miglia dalla zona.

Lo scacchiere - Il caso della zona economica esclusiva dell'Algeria davanti a casa nostra, dunque, è ben altra cosa di una partita burocratico-legale da giocarsi nel Palazzo di vetro a New York. L'interesse è tutto legato al predominio energetico e non solo nel Mediterraneo occidentale. Del resto nei caveau blindati delle compagnie petrolifere di mezzo mondo emergono elementi che lasciano comprendere le ragioni del blitz algerino. Lo scacchiere è agitato. Le contropartite e gli assetti in tutte le sponde del nord Africa si giocano intorno a quei numeri nascosti, al ruolo che ogni multinazionale del petrolio avrà nella spartizione del potere energetico. Di certo l'operazione algerina nel mare sardo non è stata giocata al buio. Non vi era motivo di un'azione unilaterale e scellerata se dietro non ci fosse stata la certezza di un potenziale strategico su cui mettere le mani. E gli algerini, forse con i turchi e non solo, prima di muoversi, hanno messo a soqquadro i canali internazionali dell'intermediazione scientifico-petrolifera. Il primo studio finito nelle loro mani ha un nome in codice: open-file report 94-166. Ne pubblichiamo lo stralcio cruciale. La fonte è a prova di servizi segreti: Dipartimento dell'Interno degli Stati Uniti d'America. Il titolo del report tenuto sottotraccia è esplicito: indagine geologica regionale e potenziale delle risorse di idrocarburi nella regione del mar Mediterraneo. Il riferimento è al compendio della Sardegna, insieme alla Corsica. Versante occidentale.

La ricchezza - I dati sono nero su bianco: i potenziali di presenza di petrolio e gas sono scanditi su un'ipotesi bassa, media e alta. La Sardegna è nella stessa tabella dell'Algeria. Il potenziale massimo della costa occidentale sarda, secondo lo studio americano, sarebbe di 150 milioni di barili di petrolio, quello dell'Algeria 40 milioni. La costa sarda avrebbe un potenziale, secondo i dati dello studio americano, quasi quattro volte tanto l'offshore algerino. Si invertono i rapporti sul gas, nel mare d'Algeri ci sarebbero 15 trillion cubic feet di gas, nelle acque sarde solo 1,5. Nello stesso studio americano, però, compare un ulteriore elemento sconosciuto. Nella mappa dei potenziali giacimenti, davanti a Carloforte, è posizionato un quadretto nero, in piena zona esclusiva algerina. L'indice è chiaro: rappresentazione di idrocarburi nei pozzi di Deep Sea Drilling Project , ovvero il Progetto di perforazione in mare profondo gestito direttamente dagli Stati Uniti. Missione strategica della Scripps Institution of Oceanography dell'Università di California con la nave oceanografica da perforazione Glomar Challenger. Non supposizioni ma perforazioni eseguite. Studi sconosciuti ai più, racchiusi nelle segrete stanze dei giocatori del poker petrolifero. L'Italia ha circoscritto per la ricerca petrolifera un'area davanti alla costa nord occidentale della Sardegna ma è finita per sbattere sul Santuario dei Cetacei. L'Algeria con la zona economica esclusiva ha finito per inglobare anche una parte di quell'area, la Zona E, che l'Italia aveva destinato alle perforazioni sulla costa. La partita si gioca in alto mare, ma i contendenti sono tutti dietro l'angolo. Un solo dettaglio sfugge a lor signori, quelle aree presunte petrolifere in mezzo al mare della Sardegna, finiscono geologicamente per incidere direttamente sulla terraferma. E il rischio di un disastro geologico senza precedenti non ammette altre speculazioni sull'isola dei Nuraghi.

Mauro Pili

(iornalista)
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