Il fratello di Carlone, primo morto di coronavirus in Sardegna: "Mi sfrattano dal bar"
Lo sfogo dell'imprenditore quartese: "Il locale è chiuso e non ho più soldi"Per restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Suo fratello, Carlo, è stato la prima vittima del Covid-19 a Cagliari. Andrea Tivinio ha dovuto fare i conti, prima, con lo sciacallaggio (il nome è stato reso pubblico da qualcuno in barba alle più elementari norme di tutela della privacy), con l'ansia perché, nonostante il lungo ricovero, le condizioni di Carlone non miglioravano. E poi con il dolore per la morte di una persona così piena di vita. Tivinio era convinto di aver fatto il pieno di emozioni negative. E, invece, a poco più di un mese dalla perdita del fratello, ha subito un'altra doccia gelida. «Mi è arrivata», dice in un racconto-sfogo su Facebook, «una pec che minaccia lo sfratto dal locale che ospita il mio bar se non pago entro dieci giorni le ultime due mensilità d'affitto».
La vicenda
Mentre Carlo gestiva il Lima Lima, pub molto frequentato nel centro di Cagliari, Andrea, circa due anni fa, aveva creato, a Quartu, il Vintage bar. «E non ho mai avuto problemi perché ho sempre pagato regolarmente l'affitto. Anzi, neanche lo pagavo direttamente perché era accreditato dalla banca». È trascorsa mezza giornata dallo sfogo sul social network ma Tivinio non riesce ancora a darsi pace. «Sia chiaro, non ho certo intenzione di non pagare. Ma adesso è impossibile, visto che il bar, la mia unica fonte di sostentamento, è chiuso. Da dove tiro fuori i soldi? Non sono in grado di pagare le mensilità di marzo e aprile. E, dato che resterà chiuso anche a maggio, non avrò i soldi neanche per il mese prossimo».
La situazione
A provocare lo sfogo social di Tivinio è il fatto che quella pec sia arrivata come un fulmine a ciel sereno. «Ho chiamato il proprietario del locale e poi gli ho inviato la mail del mio commercialista che elencava diverse modalità di sgravio e, eventualmente, anche di condono per quei mesi in cui non ho lavorato. Non ho ricevuto alcuna risposta. Sino alla pec di uno studio legale che mi intima il pagamento entro dieci giorni, pena lo sfratto per morosità». Tra l'altro, si tratta di un debito tutt'altro che sostanzioso: 800 euro per l'affitto di marzo, 900 (è arrivato l'adeguamento) per aprile più le spese di registrazione del contratto. Un totale che non arriva neanche a duemila euro.
I problemi
Un pugno nello stomaco. Senza possibilità di reagire. «Quando il Governo ha assegnato alla mia categoria 600 euro, ho pensato di destinarne una parte al pagamento di una quota dell'affitto. Quei soldi mi sono arrivati ma non li ho visti perché sono stati "mangiati" dalla banca per gli interessi passivi».
La richiesta
Una situazione, quella di Tivinio, che quasi certamente stanno vivendo tanti altri suoi colleghi. «Ma sono molto più preoccupato di quello che accadrà dopo, quando finalmente riusciremo a riaprire. Ovviamente, non avremo gli stessi incassi che arrivavano prima della crisi: il distanziamento sociale, le entrate contingentate, la paura dei clienti si faranno sentire. Ma per noi le spese saranno sempre le stesse. Per questo è indispensabile che il Governo intervenga con qualche provvedimento: una sanatoria degli affitti o una rateizzazione, per esempio. Io non intenzione di non pagare quanto devo. Vorrei solo essere aiutato a rimettermi a posto. Anche perché questa crisi è arrivata nel momento peggiore: dopo un Natale magro, l'acquisto dei nuovi registratori di cassa, un gennaio con incassi minimi, ormai non ho neanche più i soldi per vivere».
Marcello Cocco