Il recente articolo di Matteo Renzi sul "Corriere della Sera", in cui il leader di Italia Viva critica il governo per la timidezza nei suoi propositi di riduzione del cuneo fiscale, da un lato, e della spesa pubblica nell'acquisto di beni e servizi, dall'altro, ha suscitato reazioni anche piccate, che tuttavia non sempre centrano il vero problema delle coperture delle manovre finanziarie.

Tra le reazioni si sono distinte quella di Zingaretti ("Ogni distinguo, ogni polemica, è un favore a Salvini") e quella del viceministro all'Economia, Antonio Misiani ("Noi le tasse le vogliamo tagliare ora, non rinviarle al prossimo anno").

Sul piano tecnico, è stato fatto notare a Renzi che le coperture delle sue manovre, quand'era capo del governo nel triennio 2015-2017, sono arrivate in gran parte dalle famose clausole di salvaguardia, cioè in deficit spending e con l'impegno ad alzare l'Iva negli anni successivi.

Nella sostanza, il ragionamento di Renzi si basa sui seguenti punti. Primo, il previsto taglio di 2,5 miliardi di cuneo fiscale da parte dell'attuale governo è "un pannicello caldo", mentre il suo governo aveva tagliato le tasse sul lavoro (compresi gli 80 euro) di ben 22 miliardi nell'arco di un triennio. Secondo, per aumentare la domanda aggregata "occorre sbloccare il pacchetto da 36 miliardi di euro di investimenti pubblici tenuto fermo dai lacci della burocrazia e dall'inconcludenza politica". Terzo, dal lato della spesa, le coperture vanno trovate in una riduzione della spesa nell'acquisto di beni e servizi. Vale a dire al livello di quella sostenuta dal suo governo (circa 14 miliardi in meno) e in una rimodulazione del debito pubblico al posto delle aliquote Iva, occasione da cogliere ora che i tassi di rendimento dei titoli pubblici si sono notevolmente abbassati grazie alla caduta dello spread seguita alla formazione dell'attuale governo.

Con queste argomentazioni, Renzi ha posto il veto a una rimodulazione dell'Iva (aumento selettivo delle aliquote) per almeno 5 miliardi, suscitando l'accusa del premier Giuseppe Conte di essere stato "scorretto" proprio su Iva e cuneo fiscale. Anche per altri esponenti del governo, è stato facile osservare che anche la copertura dei famosi 80 euro, come si è detto, è stata fatta in deficit e con la garanzia delle clausole di salvaguardia sull'Iva, lasciate in eredità ai futuri governi. In altri termini, chi ha inaugurato la fase di scaricare sulle generazioni future il deficit spending previsto per gli anni correnti è stato proprio il governo Renzi e, a seguire, quelli di Gentiloni e del primo governo Conte.

Adesso i nodi stanno arrivando al pettine, senza che nessuno dei tre governi in questione possa tirarsene indietro. Ciò detto, resta il fatto che anche la manovra dell'attuale governo è fatta quasi per intero in deficit spending, tant'è che nella recente Nota di adeguamento del Documento di economia e finanza (NaDef) viene indicato come il rapporto storico debito/Pil sia andato costantemente aumentando sino al 2019, mentre l'inversione verso il basso viene riportata per le previsioni degli anni futuri ed è destinata, come in passato, ad essere regolarmente disattesa dai dati a consuntivo.

Il problema è che la nostra classe politica non fa altro che assecondare il sentimento, molto diffuso non solo in Italia ma anche negli altri Paesi mediterranei, tendenzialmente favorevole alle politiche di deficit spending, secondo cui il problema della crescita economica si risolve stampando nuova moneta o chiedendola in prestito sui mercati. Nei Paesi Nord-Europei, invece, la parsimonia e il profitto diventano le principali linee guida del comportamento pubblico e privato, in contrapposizione alla spesa facile e all'indebitamento.

In realtà, entrambe le posizioni, se estremizzate, creano problemi, mentre la misura giusta del deficit spending e dell'indebitamento pubblico sta nel mezzo, quando cioè il deficit stimola lo sviluppo senza però far crescere il debito in rapporto al Pil, che mette a rischio la stabilità finanziaria dell'intero sistema.

Beniamino Moro

(Università di Cagliari)
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