Torna alla ribalta, più vivo che mai, l’annoso problema della continuità territoriale della Sardegna, la quale, a cagione della sua connaturale condizione insulare, per un verso, si trova a dover far fronte da sempre ad una situazione di crescente disagio e scompenso in termini di diritto alla mobilità dei suoi abitanti a condizioni analoghe a quelle degli altri connazionali, e, per altro verso, si trova a dover far fronte ad una limitazione conseguente della propria crescita economica.

Sì, perché esiste un rapporto strettissimo, oserei dire indiscutibile, fra il principio di continuità territoriale e quello di insularità, e il settore trasporti ne costituisce, evidentemente, la massima espressione (del rapporto intendo).

Al proposito, è di questi giorni la notizia, riportata sui quotidiani locali, per cui su esplicita richiesta del Presidente della Regione Sardegna Christian Solinas, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti avrebbe disposto la proroga per dodici mesi della continuità aerea in relazione ai collegamenti tra gli scali di Cagliari e Alghero e gli aereoporti di Roma Fiumicino e Milano Linate, mentre per quanto riguarda, invece, i collegamenti tra lo scalo di Olbia e gli aeroporti di Roma Fiumicino e Milano Linate, sembra che entri in vigore un regime di continuità con accettazione di oneri senza alcuna compensazione da parte di alcuni vettori.

Per quanto una proroga non costituisca la soluzione del problema, quanto meno aiuta medio tempore a tamponarlo, sia pure in misura moderata: non bisogna, tuttavia, abbassare la guardia ma anzi battere il ferro finchè è caldo, per così dire, al fine di giungere a soluzioni maggiormente rispondenti ad esigenze di stabilità e concretezza in termini di parità di diritti tra italiani residenti in Sardegna e italiani residenti nello stivale. Ciò che non è dato comprendere, e da sarda me lo chiedo, è come mai, in tanti anni, la politica isolana (ma non intendo certamente colpevolizzare nessuno) non sia riuscita a risolvere il problema nonostante l’esistenza di norme, anche europee, che sembrerebbero di favore, ma anzi si ritrovi puntualmente "punto e a capo" a chiedere elemosine al Governo Centrale.

In cuor mio sono indotta a pensare che seppure forse come sardi non siamo riusciti a far prevalere le nostre legittime ragioni chinandoci di fronte a cc.dd. "cause di forza maggiore" inerenti questioni di più spiccato interesse (si sa che i nostri problemi sono tanti), tuttavia ci sia stata una grave disattenzione, da parte dei Governi succedutisi nel corso degli anni a Palazzo Chigi, nel prendere in considerazione la problematica e cercare di darle una soluzione che fosse vantaggiosa per tutti e che fosse idonea a compensare concretamente gli squilibri.

Tanto premesso, e ritornando al discorso introduttivo, sembra non potersi dubitare del fatto che il richiamato rapporto fra il principio sacrosanto alla continuità territoriale ed il principio di insularità, debba essere discusso e debba essere fatto valere su due, o meglio, su tre distinti piani: regionale, statale e, ultimo, ma non per importanza, europeo siccome è proprio in quell'ambito che il principio di insularità (con tutte le sue implicazioni) ha visto la luce.

Tanto più quando le norme europee si pongono come pienamente vincolanti nei confronti degli Stati Membri i quali tutti, quindi Italia compresa, dovrebbero porre la massima diligenza ed attenzione nell'applicarle ed attuarle.

Intanto, perché l'articolo 130 A del TUE (ma ci sarebbero tantissimi altri articoli da richiamare), nella formulazione adottata ad Amsterdam, esplicitamente afferma che per promuovere uno sviluppo armonioso della Comunità/Unione nel suo complesso, è assolutamente necessario procedere nel senso di una riduzione del divario esistente tra i livelli di sviluppo dei vari territori colmando il ritardo delle regioni meno favorite, come appunto le isole, le quali patiscono, proprio a cagione della loro insularità, tutti gli svantaggi strutturali annessi e connessi con ogni conseguenza sfavorevole sul piano economico e sociale.

Quindi, perché di fatto, l’Unione Europea, con la Dichiarazione sulle Regioni Insulari annessa al Trattato, si è impegnata a tener conto di siffatta specificità, manifestando apertamente la propria disponibilità ad adottare misure ad hoc dirette a favorire la migliore integrazione delle isole sul piano nazionale e comunitario tutto.

Ebbene.

Devo riconoscere che il Parlamento Italiano sembrava aver dato risposta all'esigenza di assicurare la riduzione del richiamato divario esistente tra i vari territori della nazione attraverso la legge 17 maggio 1999 n. 144.

Tuttavia, sebbene il suo articolo 36 (rubricato Continuità Territoriale per la Sardegna e le isole minori della Sicilia dotate di scali aeroportuali), proprio al fine di conseguire l'obiettivo della continuità territoriale, preveda espressamente l'imposizione di oneri di servizio pubblico sulle rotte maggiormente rappresentative individuando, nel contempo, le condizioni alle quali il trasporto dovrebbe essere svolto e prevedendo, altresì, l'indizione di una gara europea finalizzata all'assegnazione del servizio dietro compensazione qualora nessuna compagnia aerea accetti gli oneri ridetti, a tutt'oggi la continuità territoriale da e per la Sardegna è una perfetta sconosciuta.

E allora? Che dobbiamo fare? In quale maniera possiamo far fronte al nostro costante isolamento? La cosa più grave è che sebbene lo Stato Italiano abbia notevoli competenze ed anche responsabilità in tema di insularità e di continuità territoriale, occorre ancora capire se la legge 144, e quindi la politica di continuità in essa contenuta, abbia tenuto realmente in considerazione la nostra condizione insulare. E sembra proprio che ciò non sia avvenuto, siccome la formulazione in termini fin troppo generali di siffatto articolo 36 costituisce un limite proprio all’affermazione di qualsivoglia trattamento di vantaggio per le isole maggiori, ma soprattutto per la nostra Sardegna, che sia diretto a compensare "senza se e senza ma" lo svantaggio dell'essere "isola".

Al proposito non si può neppure trascurare la circostanza che negli ultimi anni non sembra siano state incentivate politiche di sviluppo dei trasporti come previsto dall'articolo 174 del Trattato UE, a mente del quale è possibile finanziare gli aereoporti che non superino i tre milioni di passeggeri all’anno (ad esempio Alghero e Olbia), mediante agevolazioni per i trasporti infra Unione giustificate proprio dalla condizione insulare.

La verità è che a tutt'oggi, forse per una questione di "misunderstanding" col Governo, ma sarei più propensa a dire di sordità da parte dello stesso verso le più che legittime recriminazioni di noi sardi, ci troviamo a non avere una politica dei trasporti che sia davvero lo specchio della efficienza in ragione dello svantaggio connaturale che ci contraddistingue pure dalla Sicilia. E il Governo da quell'orecchio sembra non voler sentire.

La Regione Sardegna (che ha competenza in materia di continuità territoriale aerea e per le linee marittime di interesse regionale) deve, dal canto suo, fare la sua parte, ritrovare il suo orgoglio, e deve trovare il coraggio di reagire e far sentire la propria voce a Roma (il Presidente Solinas sta mostrando grande determinazione in proposito), perché se è vero come è vero che noi sardi siamo italiani, allora come italiani dobbiamo e vogliamo essere trattati in tutto e per tutto.

Sennò che senso ha esserlo?

Non possiamo accettare di essere ancora trattati come figli di un Dio Minore.

Giuseppina Di Salvatore

(Avvocato - Nuoro)
© Riproduzione riservata