Due piazze, una Storia: il commento di Mario Sechi
Le storie incrociate di Emmanuel Macron e Matteo SalviniPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Parigi e Roma ieri sono state l'incrocio di due storie politiche. Una di declino, l'altra di ascesa. Una di rivoluzione contro il monarca (nella tradizione storica della Francia), l'altra (forse) di evoluzione del quadro politico di un Paese-laboratorio.
Le storie di Emmanuel Macron e Matteo Salvini sono da tempo incrociate. Il francese e l'italiano si sono scelti a vicenda mesi fa, come "nemici". Le President non perde occasione per illuminare la figura di Salvini come pianeta opposto al suo; il Capitano evoca la sagoma di Macron per criticare le tecnocrazie europee.
È un gioco politico consapevole, entrambi sanno che la posta in palio è pesante: il controllo del Parlamento di Strasburgo e della Commissione europea a Bruxelles.
Le similitudini tra Macron e Salvini funzionano per divisione, ma ve ne sono anche per unione. Entrambi nascono come politici di famiglie in disarmo o che non ci sono più. Macron cominciò la sua avventura nel governo Hollande, figlio di un Partito socialista francese oggi in stato di semi-clandestinità.
Salvini cominciò a Radio Padania, fu consigliere comunale a Milano, figlio della Lega secessionista di Bossi, quella delle ampolle sul Monviso e del No Euro, un partito che oggi non c'è più; Macron ha risposto alla crisi del Ps con la fondazione di un movimento-contenitore, En Marche; Salvini ha trasformato il Partito del Nord in un progetto nazionale.
Nel 2017 il vostro cronista scrisse su Aspenia (la rivista dell'Aspen Institute) un articolo che raccontava la figura del Presidente francese non come il campione dell'Illuminismo in progress, ma come quello che era, senza maquillaqe: un gollista frou frou, un formidabile prodotto della grande bureaucratie de l'Ètat francese, un esponente della dottrina economica del "prima la Francia", ben mascherata da una retorica europeista dove si discute tutto, tranne il primato di Parigi sul resto del mondo.
Questa analisi un anno fa sembrava un azzardo, oggi è non solo confermata ma superata dalla cronaca, dalla rivolta della France périphérique che si è riversata sui Boulevards di Parigi: un popolo che viaggia in diesel e non può permettersi l'auto elettrica della "gauche kérosène", quella che si sposta da un aeroporto all'altro. Questa è la piazza di Parigi, la Francia è il grande malato d'Europa.
Piazza del Popolo è invece la storia di un'idea in fieri che Salvini deve ancora mettere a fuoco, a cominciare da se stesso. Il leader leghista ha intuito alcune cose sullo scenario politico (come del resto Macron) ma le leadership oggi si consumano rapidamente. Nella piazza di Roma abbiamo ascoltato parole che celano in bozzolo un futuro premier. Ha cominciato il suo intervento citando un grandioso discorso di Giovanni Paolo II sull'Europa dei popoli e della fede, ma poi ci ha infilato dentro Pamela Anderson, banalizzando il contenuto alto di quell'incipit. I discorsi politici sono importanti, Salvini questo passaggio deve metterlo a fuoco. Essere capace di rendere le cose semplici e comprensibili è un grande pregio, essere semplicisti e fuggire dalla complessità è una grave lacuna.
Salvini non ha (per ora) il passo dell'oratore epico, la drammaticità che arroventava come una spada il discorso di Churchill, il passo sciolto, ritmato come un rap di Obama, il sorriso largo e la battuta fulminante di Reagan, la frustata improvvisa della Thatcher, la forza ipnotica di Bill Clinton: è chiaro che siamo lontanissimi da tutto questo, gli statisti si forgiano nel tempo e nell'officina della Storia.
Stiamo in ogni caso parlando di un leader che in potenza può durare e non essere fagocitato anch'egli dalla Fast Democracy, se diventa inclusivo, se scopre una dimensione più umana - e umanitaria - se sposa alla durezza della legge un conservatorismo rafforzato dalla pietas e dalla forza dell'Homo Faber che aiuta gli ultimi. Il Papa - soprattutto quel Papa - non può essere à la carte, non prendi quello che ti piace e il resto lo lasci da parte. Sono appunti per il domani, a futura memoria.
Due piazze, Parigi e Roma. Un intreccio di storie, eccolo, il fuoco della nostra difficile contemporaneità. Giovanni Paolo II, questo gigante del Novecento, l'uomo che diede una spallata al Muro di Berlino, parlava come un tuono, la sua parola planava sulla folla, infine vibrava, come le ali di una colomba bianca: "Non abbiate paura".
Mario Sechi
(Giornalista, direttore di "List")