Al numero 181 di Marylebone Road nel cuore di Londra si occupano solo di affari criminali. Il candore dell'edificio bianco, tra moderno e intagli regali, attenua solo apparentemente la severità dell'alta Corte dei Magistrati di Westminster. I gangli della giustizia penale inglese sono blindati come si conviene a chi maneggia inchieste esplosive. Da anni in questi uffici studiano i rivoli finanziari di una montagna di denaro che dall'Italia raggiuge come un fiume in piena le sponde del Tamigi. L'alta finanza della city londinese è troppo ghiotta per non rischiare di intrecciarsi in maniera perversa con quella criminalità organizzata che sguazza dove il denaro scorre senza limiti. Quando i terminali della Polizia di Londra ricevono il dispaccio l'ordine dei magistrati è già esecutivo. Il lavoro serrato tra gli investigatori londinesi, l'Europol e la Guardia di Finanza italiana ha messo a segno l'ennesimo duro colpo a quella che i media anglosassoni non esitano a definire una "banda". Colletti bianchi, personaggi apparentemente al di sopra di ogni sospetto. In realtà si tratterebbe dell'anello di congiunzione tra la 'Ndrangheta calabrese e il mondo della finanza.

Lavatrici inglesi

Disincanto da lord, esperienza seriale nella costituzione di società di ogni genere. Per loro i caveau di una banca sono una lavatrice seriale. Un vortice dove stivare e lavare milioni e milioni di euro trasformati in sterline e in denaro pulito, nonostante la provenienza. L'ordine della confisca milionaria scatta il 23 luglio scorso. Nel silenzio assoluto sulla sponda italiana. Il blitz delle ganasce penali della giustizia inglese si abbatte come una mannaia su un conto aziendale presso la Lloyds Bank. Nell'istituto di credito gli agenti sequestrano la bellezza di un milione e 723 mila sterline, quasi un milione e novecentomila euro. Il conto è intestato a Play Life Ltd. Ad istituirlo, secondo i magistrati dell'alta corte penale, è stato Fabio Castaldi, lo stesso fondatore della Pifim Company, la società che, dopo aver cambiato indirizzi e protagonisti, a fine agosto si è candidata, sotto l'egida del bolotanese Davide Pinna, a gestire la più importante infrastruttura della Sardegna, il Porto Canale di Cagliari. Tra i due non esiste nessun legame. Unico dato certo è che la Pifim è nata a Bolotana nel 2013 ed è ricomparsa in formato "ltd" nella Camera di commercio di Londra nel febbraio 2017. A costituirla, insieme ad una miriade di scatole cinesi, era stato proprio Castaldi, proprio nello stesso indirizzo virtuale della Play Life Ltd, i cui conti sono stati sequestrati a fine luglio con l'accusa di riciclaggio di soldi della 'Ndrangheta. Stessa via, Fore street, stesso numero e stesso ufficio virtuale, senza sedie e scrivanie, il numero 2093, quello della prima genitura di Pifim, rilevata, poi, totalmente dal bolotanese di Londra. La questione è delicata. In ballo c'è un sistema di società che abbiamo messo a nudo nei giorni scorsi. Intrecci di nomi, personaggi e interessi da analizzare in ogni singolo dettaglio proprio perché in discussione c'è il futuro del ruolo strategico della Sardegna nel Mediterraneo. L'offerta per la futura governance del porto terminal, del resto, non arriva da un player mondiale, valutabile con container movimentati, flussi ed esperienza. A capo di quella proposta di gestione c'è una società senza alcuna storia nel campo marittimo, con l'ambizione di occuparsi di tutto e di più, dal cinema alle miniere, dalla sanità all'immobiliare. Un po' troppo per non imporre un esame attento di carte e rapporti, una lente d'ingrandimento proporzionale alla partita che si sta giocando. La Pifim non è coinvolta in nessuna vicenda giudiziaria ma la sua genesi e il suo fondatore, Fabio Castaldi, inducono a più di un'attenzione. In ballo ci sono le ragioni di fondo per le quali una società sconosciuta, ignota e senza alcun tipo di riscontro finanziario credibile si affacci in un mondo così delicato e complesso come il mercato del transhipment.

Mezzo miliardo di euro

Nei bilanci della Pifim Group, società direttamente collegata dalla Company, che abbiamo pubblicato nei giorni scorsi, è emerso che Davide Pinna ha messo nero su bianco la disponibilità di ben 400 milioni di sterline, dichiarati in contanti. Stiamo parlando di 440 milioni di euro. Una montagna di soldi, inimmaginabile per una società costituita in un ufficio a ore. A quei 400 milioni di sterline se ne devono sommare altri cento emersi da un ulteriore prova documentale acquisita nei caveau delle società londinesi. Siamo dinanzi ad un capitale dichiarato di oltre mezzo miliardi di euro, non noccioline. Se quei denari fossero veri, se realmente fossero nella disponibilità di Pinna, c'è da domandarsi come siano arrivati nelle mani del nuorese. Ognuno, a Londra, è libero di dichiarare nei propri bilanci quello che ritiene più opportuno. Se, però, ha la pretesa di gestire un'infrastruttura del livello dello scalo terminal del Mediterraneo occorre quantomeno dimostrare solidità e trasparenza. I documenti che abbiamo pubblicato, per il momento, dicono altro. La questione va oltre i personaggi coinvolti nelle vicende finanziarie e penali, riguarda la concreta possibilità che il porto canale possa effettivamente riprendere il suo ruolo strategico nel Mediterraneo.

I nemici

I nemici del Porto Canale di Cagliari sono dietro l'angolo, nei porti vicini e lontani, nelle lobby della logistica e nei micro interessi che si annidano in ogni viuzza intorno a Giorgino, il vecchio villaggio dei pescatori di Cagliari più volte sottomesso a logiche lontane e perverse. Di certo il terminal del Mediterraneo nato per intercettare il traffico dei grandi flussi commerciali tra Gibilterra e Suez ha nemici giurati e interessi non sempre trasparenti e legali che lo contrastano. Nessun competitor vuole in mezzo ai piedi un porto come quello sardo piazzato nel bel mezzo del Mare Nostrum in grado di intercettare flussi rilevanti di merci e soprattutto fornire alternative a situazioni dove la stessa criminalità organizzata la fa da padrona. L'obiettivo di bloccare la nascita di una vera e propria piastra logistica euro Mediterranea della Sardegna può, dunque, scatenare ogni genere di attenzioni, comprese quelle di boicottare con operazioni fittizie il rilancio di quella infrastruttura. C'è chi pensa già di farne uno spezzatino: cento metri di banchina a tizio e un pezzettino a caio. E, poi, le navi gasiere, posizionate con un rigasificatore all'imbocco del porto, con un risultato scontato: nessun gestore serio e internazionalmente riconosciuto accetterà mai di condizionare la gestione dell'infrastruttura con rischi e tempi improponibili con navi che devono entrare velocemente nel bacino di carico e scarico e ripartire, senza perdere un solo minuto. E, poi, c'è la criminalità organizzata, quella che ha messo radici e mani sul porto che più di tutti ha strappato il traffico a Cagliari, quello di Gioia Tauro. In ballo ci sono cosche potenti, quelle dei Piromalli - Bellocco e Pesce. Chiedono tasse di "sicurezza" e gestiscono il traffico di frutta con mezzo mondo. Nell'ultimo anno la Guardia di finanza nel porto calabrese ha sequestrato cotone, ananas e banane. Nel primo carico di cotone proveniente da Paranaguá in Brasile hanno sequestrato 450 kg. di cocaina, valore 90 milioni di euro, nel carico di ananas proveniente dal Guatemala ha scoperto 270 kg di cocaina per un gruzzolo di 55 milioni di euro e, infine, un carico di banane dove erano stipati 1.177 chili di cocaina con provenienza Turbo in Colombia, valore oltre i 230 milioni di euro. I nemici del Porto canale di Cagliari sono tanti, nascosti ovunque, anche tra banane e ananas.

Mauro Pili
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