Se non ci fosse scritto a pagina otto del piano di “sminamento” della penisola Delta si sarebbe potuto pensare ad uno scherzo. Invece, è tutto vero. Scritto e sottoscritto dal Ministero della Difesa, Comando militare Esercito Sardegna. Il cuore dell’affronto è circoscritto nel paragrafo tre, con un titolo più che eloquente: «Scopo dell’Intervento». Pronunciare la fatidica frase “Bonifica Ambientale” per i vertici della Difesa è come chiedergli di fare gargarismi con l’acido muriatico. Il titolo del documento depositato all’Assessorato Regionale dell’Ambiente, nel bel mezzo di un procedimento penale per disastro ambientale, è criptato: “Compendio per la rimozione dei residuati da esercitazione dalla Penisola “Delta” di Capo Teulada”.

Inesplose e dimenticate

In altre parole, tradotte dal “militarese”, significa: teorico piano di bonifica per le “bombe inesplose” “dimenticate” nella punta estrema della Sardegna, la più devastata dai giochi di guerra. La premessa del piano è sempre la stessa: «il poligono rappresenta un’importante risorsa anche per l’economia locale». Peccato che per l’ultima esercitazione il ministero della Difesa, in Sardegna e a Teulada, non ha comprato nemmeno l’acqua da bere, arrivata per l’occasione direttamente da Napoli. Per non parlare dei lavori milionari affidati a trattativa diretta a due imprese arrivate direttamente dalla Calabria, o l’acquisto di croissant e bacon a Bologna.

L’economia fognaria

In Sardegna è rimasto solo lo smaltimento dei reflui fognari, quelli accumulati dai wc chimici arrivati per l’occasione direttamente dalla Nato. Il piano di bonifica, preceduto da un fantasioso riscontro terrestre, di cui abbiamo detto nella puntata precedente, è sintetizzabile in quattro righe, quelle di pagina otto: «la finalità dell’attività di rimozione dei residuati da esercitazione è quella di ripristinare le condizioni del Poligono “Delta” per consentire il normale transito in sicurezza e l’utilizzo futuro dello stesso quale zona bersaglio per arrivo colpi».

Bonificare per inquinare

Non esiste un precedente di tal fatta nemmeno a cercarlo con il lanternino: in pratica l’obiettivo della bonifica è quello di riprendere ad inquinare e distruggere. Una sorta di licenza perenne a distruggere habitat e paesaggio, calpestando inchieste penali e direttive comunitarie, ignorando i decreti che hanno istituito in quelle stesse aree la massima tutela ambientale. Non è ben chiaro chi le autorità militari vogliano circuire con surreali salamelecchi ambientali, di certo il prosieguo del paragrafo “principe” della fantomatica bonifica si arricchisce di un’ulteriore “chicca” quando affermano che «la zona bersaglio per arrivo colpi sarà delimitata con materiale ecosostenibile».

Bombe e giardinetti

Insomma, come dire che i missili o le bombe da mille libbre (454 kg.) di esplosivo avranno come delimitazione un giardinetto di rose e fiori fosforescenti. Il piano predisposto dal Ministero della Difesa è tutto ipotetico quando anche i neofiti sanno che una valutazione di incidenza ambientale non può essere fondata su mere ipotesi. Anzi, dall’esame comparato dei documenti emerge una sistematica contraddizione che non lascia ben sperare. Il tutto parte dall’operazione Pasubio, quella messa in campo su ordine della Procura, con l’obiettivo di verificare le condizioni di inquinamento e degrado della Penisola Delta, meglio nota come “interdetta” proprio per la devastazione a cui è stato sottoposto quel lembo di Sardegna. In quell’occasione per consentire un minimo di accesso all’area, scrivono i militari, è stato necessario sospendere le attività addestrative.

Tiri contro costa

Una “sofferenza” non solo per i guerrafondai di turno, ma anche per le industrie belliche che hanno visto rallentare i guadagni legati al consumo sistematico di bombe e missili. Non celano il “sacrificio” i vertici della Difesa: abbiamo dovuto sospendere «i tiri contro costa della Marina Militare, gli sganci di munizionamento reale e inerte dell’Aeronautica e rimodulare le attività a fuoco delle Forze Armate». È la sequenza successiva a contraddistinguersi per ambiguità, sconfessandosi più volte. Scrivono i militari: «Al momento, le risultanze analitiche hanno escluso la contaminazione chimica/radiologica del suolo».

Foxtrot & Golf vietate

Subito dopo, però, affermano che la zona “Foxtrot” e “Golf” sono «aree caratterizzate da ripide pendenze che non consentono il transito di mezzi e personale in condizioni di sicurezza». Da una parte, dunque, affermano che le risultanze analitiche hanno escluso contaminazione, poi, qualche passaggio dopo, affermano con nonchalance che in quelle zone dove si è bombardato di più è impossibile fare verifiche. Le mancate contaminazioni dichiarate nella richiesta di Valutazione di Incidenza Ambientale del Ministero della Difesa sono smentite non solo dalla relazione della Procura della Repubblica di Cagliari, ma dalla stessa relazione della Task force del settimo reggimento Difesa, nucleo batteriologico chimico e radiologico, che, nell’ambito dell’operazione Pasubio, proprio in quelle aree, ha rinvenuto «fonti emittenti» radioattive, legate ai motori di due missili Milan esplosi contro la Penisola Delta.

Radiazioni sparite

Un dato che lascia comprendere la gravità della situazione: missili di quel tipo, su quel fronte, secondo la Procura di Cagliari, ne sono stati esplosi ben 11.785. Di residuati radioattivi, dunque, ne mancherebbero all’appello ben 11.873, visto che ne hanno ritrovato, o voluto ritrovare, solo due. Non un dettaglio, ma il cuore del misfatto. Da una parte i tecnici della Procura hanno individuato la presenza di sostanze radioattive in diverse zone del poligono, dall’altra, nella proposta di “bonifica” dei militari, attraverso la valutazione di incidenza ambientale, sono di fatto sparite tutte queste contaminazioni. Il vento troppo forte, esplicitamente adotto dalla Difesa per dichiarare inutilizzabili gli strumenti di misurazione dell’inquinamento, appare una giustificazione davvero poco credibile per essere accolta, sia sul piano amministrativo, tanto più su quello penale.

Omissioni e ombre

È questo palese tentativo di nascondere il reale inquinamento che rischia di far saltare per aria, figurativamente, il piano della Difesa. È fin troppo evidente, infatti, che il presupposto tecnico e amministrativo di una valutazione di incidenza ambientale è proprio quello di individuare in ogni suo dettaglio il livello di inquinamento, senza lasciare zone d’ombra su cui, con la scusa una volta del vento e un’altra dell’inaccessibilità, si tenta di far calare una coltre di silenzio e omertà. Dall’altro canto i vertici militari, quelli che secondo i Giudici devono rispondere di disastro ambientale per i fatti ancora perseguibili, non potevano in alcun modo presentare un piano di bonifica “completo” e non “omissivo”. Avrebbe significato avallare in tutto e per tutto le conclusioni dei consulenti della Procura incaricati dal Pubblico Ministero Emanuele Secci e le determinazioni del Giudice per le Indagini Preliminari Alessandra Tedde che ha indicato i nomi e i cognomi di chi ha autorizzato quella distruzione ambientale.

Impunità

Il tema di fondo, però, dopo la presentazione di questo pseudo piano di disinquinamento da parte della Difesa, è quello dell’impunità ambientale dei vertici della Difesa. Anche nella richiesta di valutazione di incidenza ambientale sono riportati vincoli e divieti per la tutela di quel «Sito di Importanza Comunitaria». Per i comuni mortali, cittadini e turisti, in quel compendio naturalistico denominato «Isola Rossa e Capo Teulada» è vietato persino passarci a piedi. Nel piano di gestione dell’area c’è scritto che le attività militari stanno devastando in maniera permanente l’habitat naturale. Il Ministero della Difesa, invece, anche in base al piano presentato alla Regione, ritiene che le leggi dello Stato per loro non esistono. La licenza è quella di bombardare sempre, anche i siti ambientali e naturalistici protetti. In terra di Sardegna, del resto, tutto è permesso, sino a prova contraria.

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