Il calendario dell’energia ha riavvolto il nastro. Quando l’Europa green già traguardava l’epopea del new deal fatto di sole e vento, la guerra tra Russia e Ucraina, sul confine est dell’Europa, ha fatto saltare per aria piani e strategie. Tutti spalle al muro, con una rincorsa a testa bassa ad accaparrarsi barili di petrolio, metri cubi di gas e nuove dipendenze energetiche. Il pendolo per decenni ha rimbalzato tra paesi arabi e Russia, fermandosi a lungo sul versante di Mosca, grazie a infrastrutture russo-tedesche capaci di sottomettere l’Europa ai diktat dello zar del Cremlino. Sino allo show-down della guerra. In un batter d’occhio, dall’oggi al domani, le lancette dell’orologio sono tornate indietro di vent’anni, con l’Occidente senza combustibili e senza rinnovabili. I piani stravolti, strategie da riscrivere, ben sapendo che quella dipendenza dal gas e petrolio russo non si cancella a colpi di comunicati o price cap.

Cambia lo scenario

Per questo motivo la decisione ufficiale del governo d’Algeri, attraverso il Ministro dell’Energia Mohamed Abkar, riportata ieri dall’Unione Sarda, di rilanciare la costruzione del metanodotto Galsi, di collegamento dell’Algeria con la Sardegna e l’Europa, è qualcosa di più di un cambio di scenario. In quella proposta dell’Algeria ci sono elementi che vanno ben oltre la costruzione di un metanodotto, ma che costituiscono presupposti fondamentali per riscrivere i rapporti tra il Maghreb, la Sardegna, l’Italia e l’Europa. C’è un primo elemento che non può sfuggire: è la prima volta che un produttore-estrattore di metano e petrolio dell’importanza dell’Algeria si candida a governare in concreto la transizione ecologica. Lo fa non a chiacchiere ma con un approccio al futuro capace di coniugare le emergenze-urgenze del presente, con la sfida ambientale, ormai prossima, del futuro.

Hydrogen ready

L’Algeria, anziché schierarsi nella difesa tout court dei combustibili fossili, mette in campo la proposta di realizzare, senza perdere altro tempo, un metanodotto di ultima generazione, tecnicamente definito hydrogen ready, ovvero già pronto per trasportare il combustibile del futuro, l’idrogeno, quello prodotto dall’acqua, dal sole e dal vento. Un passaggio epocale perché per la prima volta nello scacchiere mondiale ci si pone un obiettivo in grado di dare risposte immediate per il presente, traguardando in modo strategico e innovativo il futuro energetico. Quando tutto sembrava perso, per la Sardegna si riapre una finestra ormai insperata con il futuro e l’innovazione energetica. Per assurdo la crisi energetica mondiale ha rimesso in corsa uno scenario capace di riportare l’Isola nel ruolo di apripista, piuttosto che di mera inseguitrice. La proposta algerina per la costruzione di un hydrogen-dotto rimetterebbe la Sardegna in quella posizione di vantaggio conquistata vent’anni fa quando fu pianificato, progettato e siglato l’accordo societario per la realizzazione del Galsi, il metanodotto di collegamento tra la sponda algerina, la Sardegna, Piombino e il resto d’Europa.

Superare il gap

Quel gasdotto, con due tronconi a mare e uno terrestre, quello della Sardegna, avrebbe traghettato l’Isola verso una vera e compiuta transizione ecologica visto che avrebbe consentito di porre le basi per azzerare il gap energetico insulare, dando il tempo per realizzare la piattaforma strategica dell’Isola dell’Idrogeno. Oggi, seppur con vent’anni di ritardo, la Sardegna potrebbe coniugare in un colpo solo quel piano di vent’anni fa, arenatosi per responsabilità politiche e opposizioni nazionali e internazionali.

Algeri guarda avanti

L’interlocutore algerino, nonostante le intemperanze, compresa l’unilaterale imposizione della zona economica esclusiva sulle acque internazionali a ridosso delle coste sarde, ha un obiettivo strategico che lo obbliga ad accelerare la sfida della transizione ecologica. Il Ministro dell’energia di Algeri lo ha detto senza mezzi termini annunciando il rilancio del Galsi: l’Algeria non vuole perdere il ruolo di contraltare della Russia sul fronte energetico-Mediterraneo. Per farlo anticipa la stessa Europa, non solo andando incontro alla nuova generazione energetica tracciata da Bruxelles, ma offrendosi come l’interlocutore più affidabile nel nord Africa anche sul combustibile del futuro, l’idrogeno. La Sardegna in questo nuovo scenario non sarebbe solo il perno fisico del rivoluzionario progetto, ma diverrebbe strategico nel Mediterraneo, riequilibrando un divario sino ad oggi permanente, l’assenza del metano, e soprattutto diventando la prima regione europea ad idrogeno.

L’ultima chiamata

In pratica, attraverso il progetto algerino, per la Sardegna si aprirebbe la via sarda all’idrogeno, consentendo alla Regione, attraverso le proprie competenze statutarie, di prodursi in piena autonomia, attraverso le rinnovabili già disponibili nel territorio sardo, l’idrogeno necessario alle proprie esigenze. Un piano da articolare in dieci, 15 anni massimo, partendo dal presupposto, però, che l’infrastruttura principale, il Galsi, sarebbe dotata di tecnologia e condotte avanzatissime in grado di gestire sia la prima fase a metano che la successiva a idrogeno.

Due questioni: Italia & Eni

Ci sono due ordini di questioni che devono essere affrontate: il ruolo dello Stato Italiano e quello dei soggetti attuatori del progetto. Sino ad oggi a dare le carte dell’energia, in Italia e non solo, è stato l’Eni. Da sempre la società che fu di Enrico Mattei ha governato la partita in chiave monopolista, dimenticandosi la funzione pubblica della governance energetica. Il risultato è stato conseguente: impedire ad altri soggetti di entrare nel mercato del gas in Italia. Un’ossessione monopolista che si è scatenata contro la stessa Sonatrach, la società di Stato algerina, che del Galsi è sempre stata azionista di maggioranza insieme all’Edison, all’Enel, all’Hera e soprattutto la Regione Sarda, prima istituzione regionale ad entrare in una compagine azionaria energetica. Si tratta, dunque, di capire se anche l’agenda energetica del governo Meloni sarà dettata dall’Eni o se invece, in maniera lungimirante e strategica, la Premier farà proprio il progetto avanzato dall’Algeria perché l’Italia diventi l’hub europeo del gas mediterraneo e, soprattutto raccolga la sfida per realizzare la prima infrastruttura europea predisposta per la scommessa tecnologica dell’idrogeno. Il secondo fronte è quello relativo ai soggetti chiamati a gestire il progetto.

Il gatto di Mao

In questo caso la lezione di Mao Tse-tung sul gatto e il topo è tanto rozza quanto efficace: “Non è necessario che il gatto sia bianco o nero, purché riesca a prendere il topo”. La società Galsi è stata messa in liquidazione nel 2020, la Regione sarda, maldestramente ne è uscita qualche anno prima, e di fatto la compagine societaria dovrà essere ricostituita. E’ evidente che per rapporti economici e istituzionali la Sonatrach algerina sarebbe la capofila, coinvolgendo questa volta sia l’Eni che i soggetti che risulteranno titolari delle quote in liquidazione. Di certo la Regione sarda oggi ha una sponda rilevante per mettere con forza sul tavolo del governo uno scenario che cambia radicalmente, proprio grazie a questo rilancio del governo algerino.

Tempi stretti

Non c’è molto tempo. Il Consiglio di Stato ha dato a Stato e Regione tre mesi di tempo per dirimere l’oggetto del contendere sulla governance energetica della Sardegna. Se la proposta algerina trovasse sponda della Regione sul tavolo del governo si aprirebbe uno scenario inedito, con l’Isola protagonista e non colonia energetica come aveva messo nero su bianco il Governo Draghi. Un dato è certo: ci vorrà molto meno tempo a realizzare il metanodotto hydrogen ready piuttosto che realizzare improbabili rigassificatori sulle coste o invasioni di pale eoliche in mare e in terra. Il metanodotto sarebbe la risposta più rapida per la riconversione delle centrali, la ripresa produttiva industriale e soprattutto un abbattimento di almeno il 40% del costo delle bolletta energetiche dei sardi. C’è solo un limite in tutto questo: il tempo. La Sardegna, per interessi occulti e negligenze, ha perso vent’anni. Ora si è aperto uno spiraglio, decisivo per non finire nel baratro, per rilanciare la posizione strategica dell’Isola nel Mediterraneo. Un’occasione irripetibile.

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