Don Marco Orrù, responsabile della pastorale della famiglia nella diocesi di Cagliari, dice che "l'80 per cento delle coppie che vengono per celebrare il matrimonio sono conviventi".

Il che, se può dare l'idea di una corsa all'altare, la dice lunga invece sulla tendenza - sempre più marcata in Sardegna - di una fuga dalle promesse nuziali, un'allergia pandemica per la fede al dito.

Va così da anni. Se solo nel 2005 le nozze celebrate davanti al prete o al sindaco erano quasi settemila, oggi le cerimonie sono ben al di sotto di quota cinquemila, con il numero dei riti civili (2.290) che ormai si avvicina molto a quelli religiosi.

Due lustri fa, per dire, i matrimoni in chiesa erano il doppio degli altri (4.834 rispetto a 2.461), adesso si sposano in municipio 46 coppie su cento: un punto in più rispetto alla media nazionale.

Se poi si va a vedere i numeri per territorio, la percentuale delle cerimonie in Comune è ancora più alta in Ogliastra (53,7%), nel Sulcis (52 su cento) e a Cagliari (50,3%).

ANELLO ADDIO - Così, mentre nel nostro Paese finalmente si comincia a riconoscere i diritti delle coppie di fatto (dei giorni scorsi la bozza del contratto degli statali che allarga le tutele per congedi e permessi), succede che il matrimonio non è più il suggello dell'amore, né il solo fondamento della famiglia.

LA SCELTA - È una tendenza nazionale, certo, ma in Sardegna il fenomeno assume contorni particolari.

"Negli ultimi tempi il matrimonio è stato una scelta fatta più spesso dopo la nascita dei figli, un modo per regolarizzare la situazione familiare. Oggi, essendo calata ulteriormente la fecondità, sta venendo meno anche questa motivazione".

Sabrina Perra, docente di sociologia generale dell'Università di Cagliari, invita a non cercare frettolosamente le radici del fenomeno nei problemi quali ad esempio la diffusa disoccupazione.

"Certo, non avere un lavoro stabile o non avere la casa è un limite alla progettualità. Ma per le coppie che vogliono sposarsi non è un impedimento alla scelta, al massimo una ragione per ritardare le nozze".

IL MUTAMENTO - Il fatto è, spiega la sociologa, che in una terra come la Sardegna, "storicamente la regione in cui si registra l'età più alta di chi arriva alle prime nozze e in cui si mette al mondo il primo figlio", è la donna il motore di questa rivoluzione.

"La rottura della tradizione passa per linea femminile. Qui è cominciata negli anni Settanta con le ragazze sempre più istruite e autonome, che pian piano, con l'affermazione di sé, hanno contribuito al cambiamento dei costumi. Insomma, se soltanto fino a non molti anni fa partorire un figlio fuori dal matrimonio era motivo di scandalo soprattutto nei paesi, oggi non lo è più. Oggi, anche nelle aree rurali, che tu ti sposi o conviva non importa più di tanto a nessuno. Così come c'è tranquillità nel presentare un compagno e pure nel cambiarlo".

RITO DI PASSAGGIO - Un mutamento dei costumi che nell'arco di quattro decenni è passato per una progressiva accettazione sociale.

È quel che è accaduto, d'altronde, anche "nel processo di deistituzionalizzazione del matrimonio religioso".

E così, mentre aumentano le convivenze (anche quelle che poi sfociano nelle nozze civili), "succede - sottolinea Sabrina Perra - che siano soprattutto le giovani coppie a volere un matrimonio tradizionale: una questione legata all'idea dei riti di passaggio, sempre più radicata nei ragazzi".

La difficoltà numero uno, considera don Marco Orrù, "è la fatica di trovare stabilità. Non solo quanto al lavoro, intendo anche una stabilità affettiva. Si è molto fragili, si ha paura di pensare al per sempre".

IL TEST - È questo, avvisa il sacerdote, il motivo dell'aumento del numero delle convivenze.

"Le si pensa come un test per capire se si va d'accordo, ma non è mai una garanzia di successo. Ho conosciuto coppie che dopo anni di convivenza si sono sposate e poi subito separate. Una addirittura durante il viaggio di nozze".

PREMI E INCENTIVI - Al di là delle riflessioni scientifiche e spirituali, qua fuori conta giusto che una famiglia nasca, sia come sia. Nei piccoli comuni è un antidoto allo spopolamento, e difatti molti sindaci si stanno inventando premi e incentivi per nuovi residenti e nuovi nati.

A Ollolai, il paese di 1300 abitanti che ha lanciato l'iniziativa delle vecchie case vendute a un euro, Efisio Arbau ha triplicato il bonus bebè da mille euro: uno alla nascita, uno al primo anno e uno al secondo.

Nel 2017 i neonati sono 9, e se si pensa che lo scorso anno erano 3, e 7 nel 2015, c'è da essere contenti.

"Lo spirito dell'iniziativa - dice Arbau - è contribuire a migliorare la qualità della vita di chi decide di stare qui".

A Stintino, invece, 1600 residenti, l'amministrazione comunale regala terra edificabile alle giovani famiglie in cambio dell'impegno a vivere in paese.

"Così cerchiamo di combattere lo spopolamento dovuto al caro-casa delle località turistiche. Entro dicembre - racconta il sindaco Antonio Diana - assegneremo il primo lotto a una cooperativa di dodici soci. In graduatoria abbiamo quaranta domande".

Piera Serusi

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