Comandini, ripartiamo da quelle lacrime di venerdì scorso. Ma che, davvero…?
«Commozione reale, giuro».
Lei è da una vita in politica, ne ha viste tante.
«Sì, ma questi due anni e mezzo da segretario sono stati molto intensi. Momenti difficili, ma altri di grande felicità. Lascio un partito unito, e il lungo applauso alla fine della mia relazione l’ha confermato. Guardi che era spontaneo, non c’era nessuna claque».
È stato il momento più bello della sua segreteria?
«No, forse quello è stato quando, la sera dello scrutinio delle Regionali, mi ha chiamato Elly Schlein e mi ha detto: ho trovato un volo, vienimi a prendere a Elmas, arrivo a festeggiare Alessandra. Lì ho capito che avevamo fatto qualcosa di grande per tutta l’Italia».
Quell’applauso e quella commozione a Oristano, venerdì scorso, hanno chiuso l’era di Piero Comandini alla guida del Pd sardo. Gli subentrerà Silvio Lai, già segretario dal 2009 al 2014. Il leader uscente resta presidente del Consiglio regionale e conta di stimolare quelle riforme istituzionali di cui si parla da almeno vent’anni, e che nessuno ha portato a casa. «Sono fiducioso», conferma lui, «ma per ora mi godo i risultati ottenuti col partito».
Soprattutto la vittoria alle Regionali, si presume.
«Soprattutto il fatto che il Pd sardo sia unito come non capitava da tempo. Abbiamo avuto tre commissari in 15 anni».
Da cosa nasce questa ritrovata sintonia?
«Di certo non ho fatto tutto da solo. Devo ringraziare in particolare il presidente del partito, Giuseppe Meloni».
Alle primarie lei l’aveva battuto d’un soffio: la foto di un partito diviso a metà.
«Ma un minuto dopo le primarie ci siamo guardati in faccia e ci siamo detti che dovevamo fare, insieme, il bene del partito. Non era mai successo che il segretario e il presidente si fondessero in una collaborazione così buona».
Però la scelta di puntare su Alessandra Todde per le Regionali la attribuiscono a lei.
«Beh, io rivendico il copyright nazionale del Campo largo: ora lo vediamo dappertutto, ma l’abbiamo inventato qui».
Perché ha deciso di fare l’intesa coi Cinquestelle?
«Per la formula dell’ovvietà».
Vale a dire?
«Uniti si vince, divisi si perde».
Quindi era solo una sommatoria elettorale.
«No, un’area progressista consapevole che l’avversario non è il nostro vicino, ma la destra. Capace di non far prevalere le singole identità di partito e di proporre una figura di forte novità come Alessandra Todde. Tutti questi fattori ci hanno consentito di vincere».
Dopo quasi due anni, rifarebbe la scelta di Todde?
«Totalmente. Allora la conoscevo poco: ha dimostrato di essere determinata a cambiare le sorti della Sardegna».
Eppure di recente lei ha sferzato la Giunta, chiedendo un cambio di passo.
«Ritenere Todde la scelta giusta per la Regione non significa non poter esprimere giudizi critici se ci sono cose che non condividiamo. Come abbiamo fatto, per esempio, sui commissariamenti delle Asl».
Il Pd intende avere più voce in capitolo sulla sanità?
«Il Pd è preoccupato per le difficoltà dei cittadini, e vuole che si faccia sempre di più e meglio. Ma la Giunta ha già fatto tante cose importanti su questo tema. Per cambiare le cose ci vuole tempo».
Molti pensano che Silvio Lai sarà un segretario più severo con Todde.
«Ma no. Il Pd non ha bisogno di creare tensioni con la presidente. Continueremo a essere il partito che risolve i problemi, non li crea. Per questo Silvio è il segretario ideale».
Il fatto che il segretario ideale sia quello eletto 16 anni fa, non dice bene della vostra capacità di creare nuova classe dirigente.
«Non la vedo così. Intanto lui aveva fatto il segretario quando era ancora molto giovane. E poi i nuovi dirigenti ci sono. Lai si è messo a disposizione con un gesto di generosità».
Chiederà un rimpasto di Giunta?
«A ogni legislatura si parla di rimpasto dopo un mese. Non è all’ordine del giorno; se dovesse arrivare, sarà l’esito naturale di una verifica su come migliorare l’azione di governo».
Non crede che, al momento, i sardi siano poco soddisfatti del vostro operato?
«Come le dicevo, serve tempo. Spesso non bastano cinque anni. In Sardegna molti risultati non sono stati raggiunti proprio per il continuo cambio di maggioranze, a differenza di quello che è successo in regioni come Toscana, Campania, Lombardia, Veneto».
Scusi, eh: ma lì a confermare le maggioranze uscenti sono stati gli elettori. Perché qui non succede mai?
«Perché spesso i primi a bocciare le maggioranze uscenti, prima ancora degli elettori, sono stati alcuni dei partiti che ne facevano parte. Ma bisogna anche aggiornare gli strumenti amministrativi: perciò ora voglio concentrarmi sulla riscrittura delle regole generali, varando la legge statutaria. Farlo da presidente del Consiglio, e non più da leader di partito, mi consente di coinvolgere meglio tutte le forze di maggioranza e di opposizione».
Coinvolgerà anche l’ampia parte di società non rappresentata in Consiglio?
«Sì, non ci chiuderemo nel Palazzo. La legge elettorale produce quell’effetto. Io sarei per un proporzionale puro, con un premio di maggioranza».
Senza sbarramento?
«Magari con soglie inferiori. Inoltre intendiamo favorire la partecipazione dei cittadini: leggi popolari, referendum».
Ma le 211mila firme della legge Pratobello sono finite in un cassetto.
«Non è stata una bella risposta, è vero. Perciò bisogna disciplinare meglio la partecipazione diretta».
La legge statutaria non è un obiettivo riduttivo, rispetto a un nuovo Statuto?
«Quello rischia di essere un risultato non raggiungibile. Meglio obiettivi più immediati: va rifatta la legge 1 del 1977 sulle competenze degli assessorati, è assurdo che si governi ancora con regole di 50 anni fa».
Ma avrete il tempo per fare tutte queste cose? La decadenza incombe.
«Pur con la massima fiducia nella magistratura, è strano che una legge votata quando non c’era l’elezione diretta del presidente travolga l’intero Consiglio. Non c’è solo Todde, ci sono altri 59 consiglieri eletti con pieno mandato».
Insomma, secondo lei la legislatura quando finirà?
«Nel 2029, alla scadenza naturale. Su questo sono sereno».
E se invece si votasse prima, Todde sarà sicuramente la candidata presidente?
«Per quanto mi riguarda, al momento non c’è dubbio: la candidata sarebbe lei».
RIPRODUZIONE RISERVATA
Questo contenuto è riservato agli utenti abbonati
Per continuare a leggere abbonati o effettua l'accesso se sei già abbonato.
• Accedi agli articoli premium
• Sfoglia il quotidiano da tutti i dispositivi