1936-2025

Addio Robert Redford, leggenda del cinema  

Attore, regista, produttore, attivista politico dimostrò che un’altra Hollywood era possibile  

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La sua ultima apparizione sul grande schermo è stata in “Avengers Endgame” (2019), in un cameo. Ma alle scene aveva già dato addio l'anno prima, con il film “The old man & the gun” di David Lowery. Si è spento ieri nel sonno a 89 anni, nella sua casa nello Utah, Robert Redford, leggenda di Hollywood.

Battezzato come un Sioux

Il padre appena nato, secondo un’usanza Sioux, lo avrebbe portato a bagnarsi nell’acqua dell'oceano, senza provocare in lui alcun pianto. Ottimo segno per la cultura pellerossa. «Pare che mi sia messo addirittura a ridere», raccontava Redford. Un talento da due Oscar (nel 1981 come regista per “Gente comune” e alla carriera nel 2002) unito a un fascino inossidabile, alla passione politica, umanitaria e per l'ambiente e al sostegno del cinema indipendente con il suo Sundance Festival fondato insieme all'amico Sidney Pollack. Nato il 18 agosto 1936 a Santa Monica (California) da Marta W. Hart casalinga e Charles Robert lattaio di origine irlandese, Redford vede morire la madre a soli 41 anni, abbandona così gli studi nel 1956 e parte per l'Italia e la Francia, per misurarsi con la vita d'artista. «Erano gli anni della depressione, c’erano pochi soldi, i miei avevano perso tutto. Si erano trasferiti a vivere su una roulotte, emigrando da Chicago in California. Un paio di amici dei miei genitori, impietositi per via del pancione di mia madre, avevano accettato di ospitarci nel bungalow».

Eroe romantico

Capelli rossi irlandesi e volto pieno di rughe già da giovanissimo, Redford è perfetto in tutti i ruoli (tranne forse in quelli da cattivo). Incarna meglio infatti l'eroe positivo, romantico, quello che ogni mamma americana vorrebbe come genero. Nel 1958, dopo alcuni ruoli in serie tv (“Gli intoccabili”, “Perry Mason”, “Alfred Hitchcock presenta” e “Ai confini della realtà”), esordisce sul grande schermo con “Caccia di guerra” nel cui cast c'è anche Sydney Pollack che poi, da regista, ne fa il suo attore feticcio. È miglior attore emergente ai Golden Globe nel 1966, per il ruolo del produttore bisessuale sposato con Natalie Wood nel film “Lo strano mondo” di Daisy Clover. Arriva poi il western La Caccia di Arthur Penn con Jane Fonda e Marlon Brando e, nel 1969, con Paul Newman è ancora in un western di culto firmato da George Roy Hill come Butch Cassidy. Sempre Hill e la stessa coppia poi nel 1973 lavoreranno a “La Stangata” (7 Oscar).

Un po’ come Gasby

Per molti Redford è il romantico Hubbell con il suo amore tormentato per Katie Molosky (Barbara Streisand), militante comunista totalmente diversa da lui in “Come eravamo” di Pollack, o “Il grande Gatsby” del 1974 di Jack Clayton, tratto dall'omonimo romanzo di Francis Scott Fitzgerald, in cui è il romantico Jay. Con Pollack arrivano poi il western Corvo Rosso Non Avrai Il Mio Scalpo! e la spy-story I Tre Giorni del Condor. Con un altro attore cult come Dustin Hoffman recita in “Tutti gli uomini del presidente”, nel ruolo di Bob Woodward, uno dei due cronisti del Watergate.

Regista e Sundance Festival

L'anno dopo l’Oscar del 1980 mette mano al Sundance Film Festival e lo fa diventare la più importante vetrina mondiale del cinema indie Usa. Ancora Pollack lo dirige in “La mia Africa” con Meryl Streep, ispirato all'omonimo romanzo autobiografico di Karen Blixen. Sempre sul fronte della regia, arrivano poi nel 1988 “Milagro” e il melò con Brad Pitt “In mezzo scorre il Fiume”. È ancora dietro la macchina da presa per “Quiz Show” e per “L’uomo che Sussurrava ai cavalli”. Nel 2007 dirige di nuovo Meryl Streep in “Leoni per agnelli”, due anni dopo produce “I diari della motocicletta”.

Impegno politico

Sul suo noto impegno politico e la sua anima pasionaria basti solo la frase detta dall’attore e regista nel 2012 al Lido di Venezia: «Ogni generazione ha la possibilità di diventare guida del proprio tempo. Mi rattrista vedere che la mia sia così corrotta da non cogliere questa opportunità che poi è anche un dovere che abbiamo rispetto ai giovani di oggi: dovremmo lasciare in eredità qualcosa di buono piuttosto che un mondo che sta marcendo».

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