Il tragitto casa-lavoro è il percorso che ogni dipendente deve compiere ogni giorno per andare e tornare dal luogo di occupazione, un dispendio quindi che può tramutarsi in una perdita non solo economica ma anche di tempo.

In linea di massima, questo lasso temporale non rientra nelle spese da sostenere dell’azienda, ma il discorso cambia in caso di trasferte oppure quando i lavoratori dipendenti non hanno una sede di lavoro fissa e i loro spostamenti quotidiani vengono quindi decisi dal datore di lavoro stesso.

Ad oggi, sono sempre più i dipendenti che richiedono all’azienda delle agevolazioni sotto forma di servizi di welfare. A questo proposito, sicuramente quello dello smart working è in cima alla lista dei desideri, soprattutto a seguito di questi anni di pandemia. Ma vediamo meglio in cosa consiste, le problematiche attuali e come potrebbero beneficiarne sia i lavoratori che le aziende.

Lo smart working e il rimborso chilometrico

È assodato che a un dipendente che debba recarsi in un luogo diverso dalla sede abituale e che utilizzi una macchina propria o a noleggio spetta un rimborso chilometrico da parte dell’azienda.

Situazione questa che però non si applica nel semplice caso del tragitto casa-lavoro che viene compiuto in modo quotidiano. Questo tipo di spostamento, infatti, non può considerarsi una trasferta e quindi non è tenuto ad essere rimborsato né retribuito.

Come abbiamo già accennato, vi è un’unica eccezione a questa casistica e riguarda appunto i lavoratori senza una sede abituale di lavoro. A questo punto, però, cosa cambia per il datore di lavoro quando ci si trova davanti a un dipendente in smart working?

Questa modalità, infatti, ha ormai raggiunto percentuali molto alte e dunque non è raro trovarsi di fronte alla situazione di un cambio di tragitto diverso, che includa non la sede di lavoro, ma l'abitazione del lavoratore e la sua vettura.

A questo proposito c’è dunque da fare attenzione al trattamento fiscale, che in situazioni normali e in base all’articolo 51, comma 5, del Tuir, comporta per le missioni fuori del territorio comunale opportunamente documentate dei rimborsi chilometrici che non concorrono a formare il reddito da lavoro.

Attualmente, è bene sapere che la risoluzione 92/E/2015 si esprime in modo preciso nel caso in cui il dipendente utilizzi la propria vettura e la distanza tra il luogo dello smart working e la destinazione della trasferta risultasse maggiore rispetto a quello calcolato dalla sede dell’azienda.

In questo caso, infatti, il rimborso chilometrico sarà maggiorato nella sua parte di eccedenza e costituirà un reddito imponibile per il lavoratore. Al contrario, invece, quando il tragitto è inferiore, il rimborso sarà esente da tassazione.

I dubbi ad oggi

Purtroppo, la normativa fiscale in materia di rimborsi per i lavoratori in smart working è ancora troppo lacunosa e controversa. Attualmente, infatti, l’Amministrazione finanziaria ha fornito indicazioni esaustive solo su alcuni aspetti del trattamento fiscale riguardante i rimborsi delle spese per tali dipendenti.

Al contrario, invece, per i lavoratori da casa c’è ancora bisogno di una regolamentazione specifica, che a questo punto dovrebbe tener conto di un probabile accordo individuale, secondo cui l’azienda dovrebbe impegnarsi a organizzarsi in fase contrattuale con il lavoratore.

Sarebbe in questo caso da eleggere un luogo di lavoro prevalente, come ad esempio il domicilio appunto, che potrebbe diventare la sede di lavoro abituale e fungere in questo modo da riferimento per quanto riguarda il rimborso chilometrico.

In questo modo, nel momento in cui il datore di lavoro avesse necessità di richiedere al dipendente degli spostamenti fuori comune per esigenze aziendali e quest’ultimo utilizzasse il proprio mezzo partendo dal proprio domicilio, le indennità erogate e opportunamente documentate potrebbero allora essere considerate esenti.

Al contrario, in caso di mancanza di una specifica e dettagliata contrattazione individuale o collettiva in merito allo smart working, i rimborsi per il tragitto domicilio-lavoro non potrebbero essere considerati non imponibili sotto il profilo sia contributivo che fiscale.

La necessità di una maggior chiarezza in questo campo

Sarebbe comunque auspicabile a questo punto un intervento interpretativo maggiore da parte dell’Amministrazione finanziaria su questo tema. D’altronde, lo smart working è una modalità di lavoro che è destinata a rimanere in modo ormai permanente.

Ne è testimone il fatto che sono oltre il 90% le aziende che hanno ormai scelto di proseguire su questa strada e che hanno così implementato le loro opzioni, anche se i nodi da sciogliere restano ancora tanti nel nostro Paese.

Bisognerebbe che il rimborso dell'indennità chilometrica sia calcolato valutando l’effettivo percorso fatto dal lavoratore, tenendo in conto il luogo di partenza e di ritorno segnalato nell’accordo sul lavoro da remoto.

I vantaggi per le aziende e la necessità di nuovi benefit

Spesso le aziende che ancora non adoperano lo smart working si chiedono quali siano i vantaggi. Gli studi effettuati in merito, però, hanno evidenziato che i lati positivi a seguito di questa scelta non sono pochi né trascurabili.

Parliamo, ad esempio, di una notevole riduzione relativa ai costi degli spazi fisici, così come del problema dell’assenteismo. Ma, soprattutto, non c’è dubbio che i dati sulla produttività siano stati sorprendenti, mettendo in luce un miglioramento altissimo.

Ci sono poi sicuramente delle grosse lacune da colmare e il rimborso chilometrico è solo uno di quelli più urgenti e motivo di ampi dibattiti. Pensiamo alla questione delle bollette, ad esempio.

Attualmente i dipendenti delle aziende che operano in smart working spendono in media di certo più denaro in luce, gas, acqua e utenze internet. Secondo recenti studi, la spesa in più si aggira intorno ai 57 euro di luce in bolletta ogni mese e 159 euro per quanto riguarda la bolletta del gas.

Non c’è motivo di dubitare, poi, di ulteriori aumenti vista la situazione geopolitica degli ultimi mesi. Al momento, però, l’unico modo di poter rimborsare i propri lavoratore senza dover pagare ulteriori tasse è quello di calcolare la quota di costi risparmiati dalla società.

A questo punto, un passo ulteriore potrebbe essere riuscire a inserire tra i fringe benefit, ovvero i beni e i servizi comunque “visibili” all’interno della busta paga, anche altre tipologie di buoni spesa.

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