Il sogno americano è da tempo realtà. Decine di migliaia di quintali di pecorino Romano ogni anno varcano l’Atlantico per finire nelle cucine dei ristoranti a stelle e strisce. Un successo sempre più consolidato che neppure la paura dei dazi per ora ha scalfito e che nel 2024 ha generato un giro d’affari complessivo da circa 700 milioni di euro, punta di diamante dell’export isolano. Ecco perché ora il Consorzio di tutela si può permettere di sognare ancora più in grande e guardare per esempio a oriente, verso mercati per ora poco esplorati ma dalle grandi potenzialità. Una strategia di crescita per i prossimi decenni che per il presidente Gianni Maoddi deve avere comunque fondamenta solide e incentrarsi inevitabilmente attorno al marchio di qualità Dop.
Allargare i confini
«Il nostro futuro deve andare verso una sostenibilità che non può prescindere dall’indicazione geografica», conferma il rappresentante del Consorzio. «La denominazione di origine è ormai un brand di qualità riconoscibile ovunque nel mondo. Che dà al consumatore una garanzia sulla genuinità del prodotto, sulla trasparenza di una filiera produttiva controllata dal Ministero e soprattutto racconta una storia di un territorio che fa questo formaggio nello stesso modo da millenni. Dobbiamo quindi continuare su questa strada, non rimanendo però cristallizzati alle logiche del passato. Perché le mode e i gusti cambiano rapidamente e costantemente e chi non lo comprende e prevede è perduto».
Passato e futuro
Il segreto del successo di un formaggio che coinvolge oltre 10mila aziende nell’Isola sembra un mix perfetto tra tradizioni e innovazioni. «Ci si deve adeguare ai consumatori che cambiano rimanendo fedeli a se stessi. Così si conquistano nuovi mercati», prosegue Maoddi. «Le tecnologie produttive si aggiornano, ma gli ingredienti base non cambiano e devono essere garantiti al consumatore che non si accontenta più e vuole conoscere tutto del cibo che mangia».
Ed ecco che entra in scena il marchio Dop, lasciapassare internazionale che garantisce la qualità del prodotto a qualsiasi consumatore: italiano, americano, tedesco o giapponese che sia. «La denominazione di origine racchiude in sé una tutela a 360 gradi», spiegano dal Consorzio. «I nostri soci, allevatori e trasformatori, sanno di poter contare su una vigilanza costante contro le contraffazioni, una promozione del territorio verso mercati esteri che difficilmente si potrebbero raggiungere da soli e un accesso privilegiato a risorse pubbliche». Maoddi snocciola qualche cifra significativa: «In dieci anni abbiamo investito circa 20 milioni di euro per la promozione del Romano, risorse che siamo stati in grado di utilizzare razionalmente solo come un consorzio potrebbe fare».
I numeri
Intanto il formaggio più famoso della Sardegna si gode un momento d’oro con le esportazioni in crescita del 9% e un boom statunitense del +21,7% nel primo quadrimestre dell’anno. C’è poi la questione prezzi, mai stati cosi alti e soddisfacenti per chi conferisce il latte ai caseifici e per chi invece lo trasforma in formaggio. Una stabilità dei listini nonostante il recente aumento della produzione del 7,1%.
Strategia
Tuttavia niente è scontato. E nulla rimane così come è senza un duro lavoro. «Prevedere i mercati nei prossimi decenni è la nostra missione», conclude Maoddi. «Noi sappiamo che la cucina italiana sta conquistando nuovi mercati ed è prioritario quindi riuscire a portare il Pecorino verso Paesi che non lo conoscevano fino a poco tempo ma che ne riconoscono la qualità certificata Dop. Occorre quindi entrare “in punta di piedi” nelle cucine straniere per declinare la qualità del nostro formaggio sui menu di tutto il mondo. Solo così potremmo garantire lunga vita ai nostri prodotti».
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