Sei anni appaiono pochi ma, dal 2019 a oggi, il costo del cibo ha conosciuto trasformazioni che pesano nella vita quotidiana delle famiglie e delle imprese.

La Banca Centrale Europea, in una recente indagine, ha ricordato che per portare in tavola un pasto, oggigiorno, si spende un terzo in più rispetto al periodo pre-pandemico. L’inflazione alimentare è stata più tenace di quella complessiva: latte +40%, burro +50%, carne oltre il +30%.

Tra i paesi dell’Eurozona, poi, gli scarti sono significativi: dall’aumento di circa il 20% a Cipro fino a oltre 50% in Estonia. Questi numeri trovano conferma anche nell’esperienza del Mercato agroalimentare della Sardegna. Qui, gli operatori hanno vissuto in prima linea gli effetti di una sequenza di shock. La pandemia ha ridisegnato i flussi tra ristorazione e consumo domestico. La crisi energetica e la guerra in Ucraina hanno fatto impennare i costi dei fertilizzanti, dei trasporti e del servizio di frigo-conservazione.

Infine, la spinta inflazionistica generale ha ridotto il potere d’acquisto dei consumatori e messo in tensione il rapporto tra produzione e distribuzione.

«Se guardiamo ai dati concreti del Mercato – osserva il Presidente di Coagri Sardegna, Vincenzo Pisano i principali prodotti ortofrutticoli hanno registrato crescite medie tra il 25% e il 30% rispetto al 2019. Ultimamente, inoltre, sono aumentati anche i costi di trasporto per via dei crediti ETF, che gli armatori riversano sui trasportatori, determinando un aumento del 20% del costo di trasporto delle merci che viaggiano via nave. Questo grava, ulteriormente, sulle imprese e sui consumatori che abitano nelle isole, come la Sardegna

Accanto al confronto locale, emerge una visione più ampia.

«Dal 2019 a oggi – sottolinea il Direttore di Coagri Sardegna, Giorgio Licheri non è solo l’ortofrutta a essere cambiata: in tutta Europa il costo del cibo è cresciuto, in media, del 30%, con differenze profonde tra i paesi e tra le diverse filiere, dalla carne ai latticini, fino ai beni industriali e all’energia. Questo è un fenomeno strutturale, legato al clima, ai costi di produzione, alla domanda globale. L’aumento dei costi dei prodotti agroalimentari è pericoloso perchè conduce verso una nuova spinta inflazionistica. Il nostro compito come mercato è trasformare queste sfide in un’occasione di innovazione e sostenibilità. Infatti, innovando i processi di vendita, incentivando la produzione di energia da fonti rinnovabili e ottimizzando la logistica si manterranno la competitività del mercato e uno sbocco commerciale per i prodotti locali

E il futuro? C’è un elemento che può pesare.

Se alla dinamica inflazionistica si aggiunge la progressiva riduzione degli incentivi della Politica Agricola Comune, il rischio è che i costi agricoli ricadano ancora di più sui produttori e, di conseguenza, sui consumatori. Questo significherebbe nuove spinte inflazionistiche e un impoverimento generale dei cittadini europei, con un impatto forte in Italia e nelle regioni mediterranee, dove vi sono livelli di reddito bassi. L’Europa deve far fronte alla sfida, perché riguarda la competitività delle imprese e, anche, il potere d’acquisto delle famiglie. Se il passato ha mostrato quanto il cibo possa diventare vulnerabile agli shock globali, il futuro chiede un salto di qualità. La risposta non può essere frammentata: serve una visione sistemica che unisca gli strumenti a disposizione. Le comunità energetiche riducono i costi delle imprese e rendono più sostenibile la produzione. Una logistica più efficiente significa meno sprechi e prezzi competitivi. La digitalizzazione e i processi di industria 4.0 aumentano trasparenza e tracciabilità.

«Ma è necessario fare un passo ulteriore – dice Licheripenso, soprattutto, agli accordi di filiera che valorizzano i nostri prodotti, alle aggregazioni tra imprese per crescere insieme, a un credibile patto con i consumatori

Informazione promozionale a cura di Coagri Sardegna

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