La Zes Sardegna, quella degli sgravi fiscali alle imprese su 2.700 ettari spalmati in quindici Comuni, ha i mesi contati. Con il voto di lunedì alla Camera, si avvicina al traguardo l'istituzione di una Zona economica speciale unica in tutto il Sud Italia. Vuol dire che nell'Isola, dopo un anno e mezzo di attività istituzionale e 120 milioni di investimenti già approvati, finisce il sogno dell'Ires al 50 per cento (è la tassa sui redditi delle società). «Restano unicamente, divise le fasce, le agevolazioni sul credito d'imposta», dice Aldo Cadau, il commissario straordinario nominato il 4 agosto 2022 dall'allora ministra per la Coesione territoriale, Mara Carfagna.

Nel Governo Meloni, il posto l'ha preso Raffaele Fitto che ha in mano pure la delega al Pnrr, il Piano di ripresa e resilienza dentro cui erano state pensare le otto Zes regionali del Mezzogiorno, destinate adesso a finire sotto uno stesso ombrello.


Commissario, il suo mandato finisce a dicembre nelle more della riforma nazionale?

«Il mio mandato si concluderà presumibilmente nei primi mesi del 2024, tra febbraio e marzo, quando verrà attivata l'Unità di missione a Roma».

Facciamo sintesi: la Zes nasce su volontà del Governo Draghi all'interno degli interventi di rilancio post Covid, previsti dal Pnrr. Lei è stato nominato dalla Carfagna per fare cosa?

«Abbiamo avviato da zero e gestito la Zona economica speciale della Sardegna, operativa nelle sei aree industriali e portuali di Cagliari, Portoscuso, Tortolì, Oristano, Olbia e Porto Torres. L'estensione complessiva della nostra Zes è di 2.700 ettari che ricadono pure nei Comuni di Alghero, Assemini, Buddusò, Elmas, Monti, Santa Giusta, Sarroch, Sassari e Uta».

Gli uffici sardi della Zes dove sono?

«A Cagliari in via Firenze: ci lavorano undici persone. Un supporto tecnico arrivato a ottobre 2022: in questo anno hanno lavorato tutti con grande professionalità e passione».

Anche gli undici del supporto tecnico andranno a casa?

«Sì, la nuova organizzazione della Zes unica nazionale non prevede uffici territoriali».

L'impressione è che non sia contento.

«Nella sfida della Zes Sardegna ci abbiamo creduto tutti. Da subito. A cominciare dagli imprenditori. Da loro sono arrivate ben 52 istanze di investimento, nei più svariati settori, dall'alimentare al manifatturiero».

Le domande sono passate tutte?

«Ne abbiamo autorizzate 21. Su sei è arrivata l'archiviazione per incompetenza, 16 invece sono in lavorazione. Abbiamo anche dato il via libera a nove Scia (segnalazione certificata di inizio attività), connesse con le autorizzazioni uniche. Si aggiungano le bozze di progetti che sono già pervenute ai nostri uffici per una pre-analisi».

Valore dei 21 investimenti autorizzati in area Zes?

«Siamo nell'ordine di 120 milioni di euro».

Valore totale di tutti gli interventi, inclusi quelli possibili?

«Direi poco sotto i 600 milioni».

Con la chiusura della Zes Sardegna cosa si rischia?

«L'incertezza normativa non potrà che pesare sui 450 milioni di investimenti che ci sono sulla carta, ma che rischiano di subire una battuta d'arresto».

Per quale motivo?

«A oggi non è chiaro cosa succederà dal 1° gennaio del 2024. Il problema riguarda anche la disponibilità delle risorse».

In che senso?

«Per dimezzare il costo dell'Ires e dare copertura al credito d'imposta, con la Legge di bilancio 2022 erano stati stanziati 1,3 miliardi. Soldi che andavano a coprire gli investimenti nelle otto piccole Zone economiche speciali istituite in Sardegna, Abruzzo, Calabria, Campania, Molise, Puglia e Sicilia. Per la Zes unica in tutto il Mezzogiorno, che sarà estesa alla totalità degli otto territori regionali, lo stanziamento complessivo è di 1,8 miliardi. È facile che i soldi si possano esaurire nei primi mesi dell'anno, anche se la riforma Fitto ha tagliato la riduzione dell'Ires».

Quali sgravi fiscali resteranno?

«Rimarranno le agevolazioni sul credito d'imposta: al 45 per cento per le piccole imprese, al 35 per le medie e al 25 per le grandi».

Un punto di forza del nuovo corso c'è?

«Sicuramente l'esistenza di un Piano strategico nazionale. Il Sud Italia ha necessità di recuperare una velocità diversa: il Mezzogiorno ha potenzialità enormi ma una crescita troppo lenta».

Sarà finalmente il rilancio del Meridione?

«Per capire se la nuova Zona economica speciale sosterrà la ripresa, bisognerà attendere il Dpcm attuativo».

L'efficienza è stata la chiave di volta nella Zes Sardegna?

«Indubbio. Abbiamo rilasciato le autorizzazioni uniche in una media di trenta giorni».

Attualmente com'è organizzata la presentazione delle istanze?

«Le aziende che investono presentano la documentazione allo Sportello digitale della Zes Sardegna, la quale convoca la Conferenza di servizi con tutti gli enti coinvolti nell'istanza ai fini autorizzativi. I diversi uffici hanno trenta giorni di tempo per esprimersi. Diversamente vale il principio del silenzio-assenso. Alla scadenza del mese, il commissario della Zes rilascia l'autorizzazione unica. Che è una concessione edilizia a tutti gli effetti. Ma anziché dover interloquire con dieci enti diversi, l'investitore presenta un'unica pratica».

La semplificazione amministrativa è possibile anche in Italia, quindi.

«Le Zes regionali hanno funzionato perché poggiano sul taglio della burocrazia garantendo risposte in tempi brevissimi. I timori maggiori che ci arrivano dagli imprenditori sul prossimo futuro riguardano proprio i tempi di rilascio dell'autorizzazione unica. Noi, con la nostra struttura snella, abbiamo lavorato benissimo anche l'Autorità di sistema portuale del Mare di Sardegna, cui spetta dare il via libera agli interventi nelle aree demaniali».

In Sardegna gli altri enti chiamati a concorrere alla semplificazione amministrativa come hanno risposto?

«In pochissimi casi c'è stato il silenzio-assenso. Tutti gli uffici si sono espressi nei trenta giorni. Sullo spirito di buona collaborazione tra enti abbiamo impostato tutto il lavoro della Zes Sardegna».

Secondo lei, perché la Zona economica speciale dell'Isola non dovrebbe chiudere del tutto?

«Perché è una struttura sul territorio e come tale capace di dialogare in maniera agevole con l'Autorità di sistema portuale, come detto, con i Consorzi industriali, con la Regione e con i quindici Comuni che rientrano nella Zes. La Zona economica speciale della Sardegna è un ente che parla con tutti ogni giorno e soprattutto con gli imprenditori».

In questi quattordici mesi di guida della Zes non ha trovato limiti?

«Sì, che ne ho trovati. Le Zone economiche speciali regionali sono state istituite con limiti troppo rigidi: i 2.700 ettari della nostra Isola si sono rivelati troppo pochi a fronte di un territorio regionale che si estende su 24mila chilometri quadrati. Su questo limite spaziale posso citare un caso concreto: la Heineken, che in Sardegna produce col marchio Ichnusa, opera nella zona industriale di Assemini-Macchiareddu. Il birrificio è circondato da aree che ricadono nella Zes, ma l'azienda è fuori dal confine. Per questa ragione la Heineken non ha potuto usufruire degli sgravi fiscali. Uno strumento di riperimetrazione avrebbe risolto il problema ma non è stato previsto dalla legge istitutiva delle Zes regionali. Va detto che con la Zona economica unica questo rischio non si correrà più: l'intera Sardegna sarà Zes e lo stesso accadrà nel resto del Sud Italia».

Per riepilogare: la riforma Fitto entrerà in vigore dal 1° gennaio. Entro marzo, presumibilmente, dovete smantellare gli uffici regionale e trasferire tutto all'Unità di missione a Roma. Cosa succederà alle pratiche istruite ma non chiuse?

«Il problema che si stanno ponendo gli imprenditori riguarda anche le istanze già autorizzate. Poniamo il caso di un'azienda che ha già opzionato i terreni e deve solo costruire la fabbrica: nell'incertezza normativa, quella società blocca le opere. È troppo elevato il rischio che possano non bastare le risorse per ottenere il credito d'imposta. E qui torniamo al discorso di prima: la Zes ha funzionato perché ha garantito certezza normativa e finanziaria. Non vorrei che la riforma Fitto rimettesse in discussione tutto. Un imprenditore, giustamente, non fa salti nel vuoto».

In questi quattordici mesi, da commissario della Zes Sardegna ha siglato svariati protocolli con le banche. Cosa succede adesso?

«Spero che tutti i protocolli, inclusi quelli siglati tra gli istituti di credito e la Zes Sardegna, non si perdono, vista la prossima soppressione degli enti regionali».

Cancellare la Zes Sardegna è nuovo centralismo?

«Svuotare le regioni di ogni potere è nuovo centralismo. Sarebbe stata sufficiente qualche piccola modifica al testo della riforma. Va benissimo il commissario unico nazionale al posto degli otto regionali, ma i presidi territoriali andavano preservati».

Ne ha parlato con Fitto?

«No, non ho avuto la possibilità di farlo».

Con i rappresentanti della Regione?

«Sì. Sia con quelli di centrodestra che di centrosinistra».

Cosa hanno risposto?

«Tutti hanno convenuto sul fatto che la struttura territoriale della Zes sia garanzia di efficienza».

I parlamentari sardi si sono mossi?

«Sì. Sia il deputato di Forza Italia, Ugo Cappellacci, che quello del Pd, Silvio Lai, hanno presentato emendamenti. Ma il Governo li ha bocciati».

Vede margini ulteriori di manovra?

«Purtroppo no».

Il testo approvato lunedì alla Camera prevede testualmente che la Zes unica sarà «un sistema di governance basato su una struttura unica nazionale, fermo restando il ruolo delle amministrazioni locali nella valorizzazione e promozione delle nuove opportunità di investimento». Come la vede?

«Spero vivamente che i Comuni abbiano anche il tempo per adempiere a questo ulteriore impegno. Ma non sono ottimista. Tutte le pratiche della Zes unica sono destinate a transitare nell'Ufficio di presidenza unica che sarà istituito nella presidenza del Consiglio dei ministri. Con un paradosso: alla Zes “romana” dovrà rivolgersi sia il piccolo aspirante gelatiere di Foggia che una grande azienda estera con un progetto milionario».

Facciamo un esempio concreto: un imprenditore estero chiede una consulenza alla Zes nazionale per realizzare un polo logistico. Ma non ha idea di dove farlo. Chi lo indirizza?

«I tecnici dell'Unità di missione e il coordinatore».

In base a quali criteri?

«Senza un criterio. Ma tanta discrezionalità».

Il campanilismo, per lei che teme il nuovo centralismo, tornerà a contare?

«Spero di no».

Lei, da commercialista, si occupa di imprese da quindici anni. In questi quattordici mesi cosa ha scoperto di nuovo?

«Se gli imprenditori sono messi nella condizione di investire in un contesto fatto di regole certe, l'economia corre».

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