Tra i negozi e le piccole imprese tre su dieci temono di non farcela causa crisi economica da Covid e di dover tenere la serranda abbassata per sempre.

E' il quadro che emerge dall'ultima indagine di Confcommercio sulle Pmi del commercio, alle prese con le nuove norme - e i nuovi costi - su distanziamento e sanificazione ma anche con un afflusso di clienti inevitabilmente molto inferiore alla situazione pre-Covid.

"Gli imprenditori hanno volontà di riaprire nonostante le difficoltà, ma c'è il rischio di una tempesta perfetta: da una parte i pesanti costi della Fase 2 e le poche entrate, dall'altra una crisi di liquidità che persiste e si aggrava", sottolinea il presidente, Carlo Sangalli, chiedendo "meno burocrazia e una accelerazione delle iniziative anticrisi".

Delle quasi 800mila imprese del commercio e dei servizi che sono riuscite a ripartire, rileva l'associazione, il 94% opera nell'abbigliamento e calzature, l'86% in altre attività del commercio e dei servizi ma solo il 73% dei bar e ristoranti. Il 18% delle imprese che potevano riaprire non l'ha ancora fatto e la percentuale sale al 27% tra bar e ristoranti.

Ma anche tra chi ha riaperto, il 68% degli imprenditori dichiara che i ricavi sono inferiori alle aspettative, per la verità già basse.

La stima delle perdite rispetto ai periodi "normali", per oltre il 60% del campione è superiore al 50%, con un'accentuazione dei giudizi negativi ancora una volta nell'area dei bar e della ristorazione, segmento dove si concentrano le maggiori perdite che arrivano anche fino al 70%.

"Purtroppo, le valutazioni conclusive sono fortemente negative. Fin qui, nell'esplorazione delle due indagini, svolte a distanza di una settimana, emerge una significativa oscillazione dei giudizi tra la voglia di tornare a fare business e percezioni piuttosto cupe sull'andamento dei ricavi, il tutto condito da un esplicito orientamento delle imprese volto a smussare l'impatto delle difficoltà e dei problemi", segnala Confcommercio.

Se nella prima settimana solo il 6% degli intervistati indicava un'elevata probabilità di chiusura dell'azienda, nella seconda ondata di interviste, a fronte di un ragionamento più articolato, il 28% degli intervistati afferma che, in assenza di un miglioramento delle attuali condizioni di business, valuterà la definitiva chiusura dell'azienda nei prossimi mesi. Oltre a queste fosche previsioni si aggiungono i timori che nel prossimo futuro si dovrà comunque richiedere un prestito (50% del campione), non si sarà in grado di pagare i fornitori (40%) né di sostenere le spese fisse (43%).

(Unioneonline/D)
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