Circa seicentomila euro di ricavi all'anno persi, un impianto finanziato dal ministero delle Politiche agricole non realizzato, energie rinnovabili non sfruttate e un mancato introito per le stesse casse regionali: sono questi gli elementi della vicenda, per certi versi incredibile, della mini centrale elettrica del Liscia.

La Cassazione ha condannato la Regione sarda per il diniego delle autorizzazioni alla realizzazione dell'opera, finanziata sei anni fa dal ministero delle Politiche agricole e forestali.

Il Consorzio di Bonifica della Gallura credeva nel progetto, che, dicono i documenti in possesso del ministero, avrebbe anche favorito l'abbattimento delle tariffe dell'acqua per le aziende agricole di Olbia e Arzachena.

La Regione ha negato i permessi e il Tribunale superiore delle acque pubbliche, nel 2017, ha accolto il ricorso del Consorzio. E a quel punto, la Regione ha portato il caso in Cassazione.

La Suprema Corte ora si è pronunciata sul caso, bocciando la linea della Regione, che è stata anche condannata alle spese.

In una nota del Consorzio si legge: "Oggi tutto è concluso con l’ultimo grado di giudizio. Il Consorzio, dopo 6 anni di lunghe battaglie, rischia di perdere il finanziamento del ministero delle Politiche agricole visto il tempo trascorso e deve fare i conti anche con gli introiti perduti a causa della mancata realizzazione della centrale idroelettrica. Ma la tenacia che sempre ha contraddistinto il nostro agire ci invita a valutare attentamente la concreta possibilità di attivare, comunque, la realizzazione della centrale idroelettrica, per sfruttare i benefici, finanziari, derivanti in termini di autoconsumo dell’energia prodotta, e ambientali".
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