La Sardegna riesce a contenere l’inflazione, ma non a garantire stipendi adeguati.

È questo il paradosso che emerge dall’elaborazione dei dati territoriali Istat sull’inflazione di novembre, analizzati dall’Unione nazionale consumatori.

Nell’Isola, il rincaro medio annuo per famiglia si è fermato a 134 euro, con un’inflazione tendenziale dello 0,7%, uno dei valori più bassi a livello nazionale.

Un dato che, letto isolatamente, potrebbe apparire rassicurante. Ma basta guardare sotto la superficie per cogliere le profonde fragilità dell’economia sarda.

«Le differenze territoriali, intanto: Olbia-Tempio registra l’aumento più consistente del costo della vita, con 239 euro annui e un’inflazione dell’1,2%, seguita da Cagliari (163 euro, +0,8%) e Sassari (80 euro, +0,4%)», afferma Mauro Carta, presidente regionale delle Acli.

Il vero nodo, però, non è tanto l’inflazione quanto la debolezza strutturale dei redditi. «Secondo il rapporto METE 2025, la retribuzione media annua in Sardegna nel 2024 è stata di appena 13.601 euro. Un valore che colloca la regione al quattordicesimo posto in Italia e che rende qualsiasi aumento dei prezzi, anche modesto, un fattore di rischio per la tenuta sociale».

Il risultato è un’estensione della povertà relativa: oggi sono 128.000 le famiglie sarde che vivono in questa condizione, cinquemila in più rispetto al 2023. Famiglie che, secondo la definizione Istat, non riescono a sostenere una spesa per consumi superiore alla media pro-capite. Numeri che raccontano una regione in affanno, incapace di assicurare a tutti un livello minimo di benessere.

A complicare ulteriormente il quadro è la questione di genere. I dati Istat, rilanciati da Ansa, confermano che il divario retributivo tra uomini e donne resta marcato: nel 2024 le donne hanno percepito in media il 29% in meno rispetto agli uomini.

Una forbice spiegata dal maggiore ricorso al part time, da un numero inferiore di giornate lavorate e da una più frequente collocazione in posizioni meno qualificate. Una dinamica che, come sottolinea ancora il rapporto Mete 2025, si intreccia con la bassa occupazione femminile e contribuisce alla crisi demografica dell’Isola.

Da qui l’appello delle Acli della Sardegna, che guardano al 2026 come a un anno decisivo. «Il lavoro correttamente retribuito deve diventare il fulcro dell’azione politica», afferma ancora Carta. «Senza un reddito dignitoso non c’è appartenenza alla comunità, né coesione sociale».

Secondo le Acli, intervenire sulle retribuzioni non è più una scelta ideologica, ma una necessità economica e sociale.

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