Più controlli e paletti sul reddito di cittadinanza. 

La legge di bilancio in discussione nella maggioranza – che rifinanzia il provvedimento con un miliardo di euro l’anno – dovrebbe confermare la stretta sulla misura di contrasto alla povertà, con l'obiettivo sia di arginare gli abusi e le irregolarità, sia di renderla più efficace ai fini occupazionali. Chi percepisce l’assegno ed è considerato tra i soggetti occupabili, se rifiuta una offerta di lavoro congrua, vedrà scattare un decalage mensile. Dopo il secondo rifiuto ci sarà poi la revoca del beneficio.

La novità è stata confermata nel vertice che si è tenuto ieri a Palazzo Chigi alla presenza del presidente del Consiglio Mario Draghi e dei ministri del Lavoro, Andrea Orlando, delle Politiche agricole, Stefano Patuanelli, e della Pubblica amministrazione, Renato Brunetta.

Prima di procedere al taglio, che non sarà automatico, entrerà in gioco un meccanismo di verifica per accertare che il beneficiario abbia effettivamente ricevuto e rifiutato l'offerta di lavoro.

Queste modifiche precedono una possibile prossima revisione più ampia e strutturale della misura, con le dieci proposte contenute nel primo Rapporto del Comitato scientifico per la valutazione del reddito di cittadinanza, nato a marzo scorso al ministero del Lavoro. "Una base da cui il Parlamento può partire per una riflessione e per ulteriori integrazioni", spiega Orlando. Alla base del documento l’idea che il reddito di cittadinanza costituisca uno strumento indispensabile di contrasto alla povertà, che presenta però alcune criticità da correggere.

Alcune delle ipotesi riguardano minori e cittadini stranieri.

Secondo il gruppo di esperti, oggi le famiglie numerose sono più penalizzate rispetto ai single e alle famiglie piccole: per questo si chiede di rivedere la scala di equivalenza, che serve per determinare l'accesso al Rdc e l'importo, ed equiparare i minori agli adulti, in modo da far salire l’importo.

Sempre su questo fronte, si ipotizza di ridurre la soglia di partenza per i nuclei di una persona da 6.000 a 5.400 euro e di differenziare il contributo per l'affitto in base alla dimensione del nucleo, abbassandolo quindi per i single e aumentandolo in base al numero dei componenti della famiglia.

Per gli stranieri, la proposta è di ridurre da dieci a cinque anni il periodo di residenza in Italia necessario per aver accesso al provvedimento: un compromesso "ragionevole e in linea con l'Ue" e che costerebbe 300 milioni per includere altre 68mila famiglie, evidenzia la presidente della Commissione Chiara Saraceno.

Infine, c'è la questione lavoro: oggi a un percettore del Rdc "lavorare non conviene", scrive il Comitato scientifico, sostenendo che per il calcolo dell'importo il reddito da lavoro andrebbe considerato per il 60% e non l'80%. 

(Unioneonline/F)

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