Si aspetta ancora il via libera dall'Unione europea, ma dopo l'emergenza legata alla peste suina la Sardegna è pronta a esportare di nuovo la carne di maiale. Anche perché in ballo c'è un giro d'affari di 500 milioni.

"Per noi la peste suina è superata - ha detto il presidente regionale della Confederazione italiana agricoltori (Cia) - ma stiamo ancora aspettando che il percorso burocratico abbia termine. L'ultimo focolaio registrato in un allevamento risale a metà settembre 2018 a Mamoiada, mentre l'ultima positività al virus nei cinghiali è dell'aprile 2019: dal 1978 a questa parte non si è mai registrata una così prolungata assenza della peste suina".

La Cia sta già guardando avanti, diffondendo un vademecum su come riorganizzare i circa 14mila allevamenti sardi in vista della riapertura del mercato.

"Ora più che mai - ha continuato Erbì - è necessario permettere alle nostre aziende di riprendersi dal tracollo generato dal lockdown per Covid 19. I consumi del famoso suinetto (porcetto) si sono drasticamente ridotti nei centri turistici così come è avvenuto in tutta la regione in seguito alla cancellazione di sagre, feste laiche e religiose".

Un settore che guarda al futuro.

"Oggi in Sardegna - ha detto Gianni Battacone, docente del dipartimento di agraria dell'Università di Sassari - abbiamo a che fare con due tipologie di allevatori di suini: quelli che operano da 30-40 anni e quelli che hanno deciso di farlo da 4 o 5 anni puntando tanto su nuove tecnologie, compresa inseminazione artificiale".

Fiducioso Martino Scanu, responsabile nazionale Cia per la suinicoltura: "A questo punto dobbiamo portare a casa la riapertura dei mercati di vendita fuori regione. Un risultato storico che potrebbe rilanciare non solo la zootecnia isolana, ma l'intera economia della Sardegna".

(Unioneonline/v.l.)
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