Guernsey, uno scoglio in mezzo alla Manica. Un isolotto anonimo ad un tiro di schioppo dalle coste nord occidentali della Francia. Settantotto chilometri quadrati, un trecentesimo della Sardegna, poco più grande di Carloforte. Stato indipendente, con tanto di primo ministro e ovviamente regime fiscale per conto proprio. La longa manus è quella del sovrano del Regno Unito che la esercita, però, in quanto Duca di Normandia. La capitale è Saint Peter Port, 17mila abitanti sui 66.000 dell'intero Stato. Per scoprire chi vuole fare affari sulla testa dei sardi bisogna irrompere nei segreti finanziari di uno staterello sconosciuto ai più, nascosto ai radar, secretato dietro trust di ogni genere.

Al primo piano dell'Albert House, South Esplanade, nel cuore della capitale di Guernsey, ha sede il Macquarie European Infrastructure Fund 4 LP. Sigle in codice, nomi blindati nel sistema finanziario dei paradisi fiscali. Un fondo internazionale secretato come pochi, con dentro un portafoglio da 5 miliardi di dollari. Ci sono i vecchietti di mezzo mondo che hanno affidato i propri piani pensionistici a questi signori, compagnie assicurative, società e fondi sovrani. Pensionati vivaci, che non giocano a scopone al bar del paese, leggono il Financial Times e non fanno i cruciverba. Quando investono vogliono guadagnare e per alcuni versi amano la "certezza" del rischio.

Investimenti nei trasporti, nelle comunicazioni, nei rifiuti e soprattutto nell'energia. È solo grazie a quell'ultima missione, quella del gas, che anche i nonnini della University of Victoria in Canada si sono inconsapevolmente, insieme a tanti altri, trovati a scommettere le proprie pensioni sulla metanizzazione della Sardegna.

Investimenti e rischi

Peccato che nelle comunicazioni segrete rivolte ai soli scommettitori del fondo finanziario, i general manager, a partire dall'ex amministratore delegato dell'Enel Fulvio Conti, sono stati espliciti come non mai: gli investimenti del fondo Meif 4 sono soggetti al rischio d'investimento, compreso il possibile ritardo nei rimborsi e la perdita del reddito e del capitale investito. Come dire noi vi gestiamo i fondi ma se perdiamo tutto arrangiatevi. In questo caso il Piano della metanizzazione della Sardegna rientra perfettamente nei canoni di rischio del fondo finanziario sbarcato nell'affare energetico della Sardegna, grazie alla spartizione dell'isola tra i colossi del gas.

Dopo che l'Eni e i potentati hanno fatto naufragare, senza troppi complimenti, il metanodotto tra l'Algeria, la Sardegna e l'Europa, ora la speranza del metano a casa è nelle mani dei fondi finanziari, non associazioni fatebenefratelli. Unica tra le regioni d'Europa senza il metano, la Sardegna sta a guardare, tagliata fuori da ogni scelta che la riguarda, sia sul piano energetico che finanziario. L'Eni in modo esplicito ha le chiavi del rubinetto e non intende cederle ad altri. Se c'è da macinare soldi con i contatori dei sardi, l'Eni c'è.

Non è un caso che il metanodotto che doveva partire dall'Algeria per arrivare in Sardegna e poi in Europa sia naufragato per la contrarietà del padre padrone dell'energia. L'ente di Stato voleva solo un accesso del metano in Italia, quello dalla Libia, attraverso la Sicilia. Nessun'altra concorrenza era ammessa, figuriamoci se avrebbe mai permesso la costruzione del metanodotto sardo sostenuto dalla Sonatrach algerina, dall'Enel, dall'Edison e dalla stessa Regione Sarda con il 13% delle azioni.

Proposte e sogni

Al cane a sei zampe, dopo aver fatto naufragare il Galsi, non restava che tacitare la Sardegna con una soluzione minimale, giusto per affievolire le pretese dei sardi da sempre pesantemente condizionati dalla mancanza del metano con costi aggiuntivi del 40% in più rispetto al resto d'Italia. In prima battuta l'Eni propone un hub galleggiante davanti all'Asinara, ma l'idea è campata per aria e ignora i disastri già consumati in quel paradiso. La società non molla, e propone la dorsale centro-nord del metano. Da Portotorres ad Arborea. A sud, da Arborea a Cagliari, invece, si affaccia la Sgi, Società Gasdotti Italia, il braccio operativo di due fondi, uno australiano e uno svizzero. Sembra una spartizione dell'isola. E forse lo è.

Da una parte il colosso di Stato, attraverso la Snam spa, e dall'altra la Sgi, controllata congiuntamente dal gruppo australiano Macquarie e dal gruppo svizzero Life. La partita va avanti, su binari paralleli, compresa l'impegnativa valutazione d'impatto ambientale.

Al ministero dell'Ambiente approdano i due progetti. Il 5 dicembre del 2017 l'annuncio alle borse: le due società uniscono le forze. Per l'occasione nasce Enura, società con la missione di metanizzare la Sardegna. Dai due progetti ne fanno uno: una dorsale principale da 380 km, con tubazioni da 40 a 65 centimetri di diametro e una rete di derivazione principale per 190 km con un diametro tra i 15 e i 45 centimetri per raggiungere le principali aree di mercato della Regione. Tagliano fuori le zone interne, l'Ogliastra e i paesi spopolati. Lì non si fanno i soldi.

Il monopolio

Il business non si ferma. Nessuna competizione, nessuna gara. Monopolio costruito a tavolo, con il silenzio di molti. Un'appropriazione del mercato senza colpo ferire, con l'accordo degli azionisti del fondo di Guernsey, in nome e per conto di svizzeri e australiani. Il comunicato alle borse è risoluto: la messa in esercizio del primo tratto di rete è previsto per il primo semestre 2020. Ovvero, fra tre giorni. Ovviamente, tutto è fermo. Nel primo semestre del 2020 niente è successo, neanche mezzo tubo. Anzi, tutto bloccato, per una questione di non poco conto: chi paga?

I nonnini dell'Università di Victoria in Canada investono solo dove si fanno soldi e all'orizzonte delle dorsali sarde non si intravede per il momento il becco di un quattrino, né pubblico, né privato. Il motivo è semplice: l'Arera, l'Autorità regolatrice del mercato elettrico, con la delibera del 5 luglio scorso, ha assunto una decisione esplicita: la Snam non può giocare su tutti i tavoli, tra i suoi progetti del decennio di programmazione ha ancora il metanodotto Galsi e deve dire formalmente cosa intende farne. E poi l'Autorità mette nero su bianco lo stop ai piani per la metanizzazione della Sardegna: vanno rinviati perché manca un piano di costi e benefici, mancano gli scenari energetici su cui calcolare i risultati, serve uno studio indipendente per verificare la compatibilità con le scelte della Regione e, infine, deve essere fatta una verifica sull'insieme da affidare alla società Rse, Ricerca sul Sistema Energetico spa.

In ballo ci sono non solo i costi e i benefici per chi mette i soldi per realizzare le opere, ma soprattutto il costo finale che i sardi dovranno pagare per quel metano, qualora arrivasse nelle loro case.

Il tema è dirimente. L'assessorato all'Industria della Regione Sardegna nella nota di risposta al piano Arera non lo manda a dire: il prezzo per gli utenti sardi sarà sensibilmente superiore rispetto agli altri utenti degli altri ambiti, vanificando in parte la possibilità di disporre del gas naturale che potrebbe tendere ai livelli di prezzo adesso praticati nelle reti isolate ad aria propanata e gpl.

Costi e bollette

Sotto accusa c'è l'articolo 43 della decisione finale dell'Autorità il 27 dicembre scorso, dove vengono definiti gli ambiti tariffari. Ne viene aggiunto uno ex novo: ambito Sardegna. Come dire, i costi di infrastrutturazione non saranno a carico della collettività italiana, ma dovranno pagarli, attraverso le bollette, direttamente i sardi. Alla faccia di coesione e riequilibrio. Un impasse duplice: da una parte, se resterà questa clausola nefasta dell'ambito tariffario esclusivo, nessun sardo sarà invogliato ad allacciarsi alle eventuali reti e conseguentemente nessun investitore realizzerà opere destinate a produrre solo costi e nessun guadagno.

La Sardegna rischia di restare al palo. Nel limbo degli affari sospesi l'isola corre il serio pericolo di restare tagliata fuori per sempre dalla strategia energetica nazionale ed europea. L'ultimo treno che passa. Il metano è già una scelta arretrata, ma costituisce l'estremo tentativo di riagganciare in extremis una partita persa da tempo. L'obiettivo è quello di consentire all'isola di avere una rete di distribuzione propria, per sperimentare nuovi combustibili, a partire dall'idrogeno, l'unica fonte che la Sardegna potrebbe autoprodursi. In Europa l'idrogeno sta assumendo un ruolo imprescindibile e la stessa riconversione delle reti - l'esempio nel land tedesco della Sassonia ne è la prova - rappresenta un'opportunità da non perdere. Il rischio altrimenti è quello di vedere per sempre i mari della Sardegna circondati da ciclopiche navi gasiere e le strade dell'isola incessantemente percorse da carri bombolai. Un ritorno al medioevo. Ancora una volta inseguitori, perennemente in ritardo. Con il rischio di restare al buio. Dal 2025 si spengono anche le centrali elettriche, un altro capitolo della saga dell'energia in Sardegna.

Mauro Pili

(Giornalista)
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