Il Galsi nei piani dell’Europa, frenano le lobby
Nonostante la guerra i potentati energetici giocano ancora a tutelare i propri affari piuttosto che a diversificare le fonti
Il codice è cifrato: metanodotto TRA-A-12 GALSI. Per rintracciare il dossier secretato bisogna aprire gli armadi blindati dell'Agenzia Europea per la cooperazione tra i regolatori dell'Energia. Il Parlamento europeo l’ha dislocata nientemeno che a Lubiana, nel cuore della Slovenia. E’ qui che i piani energetici d’Europa, quelli contingenti e strategici, devono passare al vaglio di chi si occupa della grande rete energetica dell’Occidente. Una ragnatela di condotte e cavi, trasmissione elettrica e gas, maglie strette e a volte più ampie. La missione è pianificare l’energia nei paesi dell’Unione. Nella cartina interattiva dell’Agenzia la connessione tra sistemi e reti è il vero obiettivo della strategia europea.
Dossier caldo
Il faldone del metanodotto Algeria- Sardegna- Europa, seconda linea d’adduzione di metano solo pianificata e progettata dai paesi del Magreb verso il vecchio Continente, è dossier caldo. Non foss’altro per il cambio di passo della storia impresso con l’irruenza di una guerra alla soglia dei confini di Stato. Il 24 febbraio scorso, di punto in bianco, la mappa dell’energia è stata rasa al suolo con un’azione fulminea e senza appello. Quando Vladimir Putin, alle 3.31 di quella notte, ha deciso di andare a prendersi l’Ucraina, con la forza d’urto di una guerra pianificata da tempo, quelle cartine energetiche d’Europa sono diventate in un attimo carta straccia. Un ribaltamento d’orizzonte che costringe l’Europa e gli Stati, l’Italia per prima, a riscrivere scenari e ristabilire priorità. Un dato è certo, all’Europa da un momento all’altro potrebbe mancare un apporto energetico in grado di bloccare tutta l’economia occidentale. Dalla Germania al Bel Paese l’impatto di quei rubinetti chiusi sul confine dell’Ucraina significherebbero un semaforo rosso devastante. Pensare di recuperare quel gas con accrocchi galleggianti, con navi cariche di gas provenienti dagli Stati Uniti, per approvvigionare non meno di 200 milioni di europei significherebbe mettere in ginocchio produzioni ed economia. E’ evidente che serve un cambio d’orizzonte non di poco conto. La Transizione ecologica, pianificata a colpi di pale eoliche e pannelli fotovoltaici da piazzare in Sardegna, non solo non regge ma non è proprio sostenibile nei tempi e nei quantitativi di energia necessari.
Pnrr già vecchio
Bisogna prendere atto, anche se con malcelato dispiacere dei predatori del mare di Sardegna, che la strategia deve necessariamente cambiare. Il piano energetico alla base del Pnrr è diventato vecchio in un batter d’occhio. Scegliere di persistere sulla strada tracciata prima del conflitto, piuttosto che adeguare tempi e strategie, significa mettere l’Europa e l’Italia fuorigioco. La nuova sfida energetica è tutta nella capacità di ri-orientare urgentemente la nuova agenda strategica dell’approvvigionamento e della governance dell’energia. È per questa ragione che quel dossier sul metanodotto di connessione tra Algeria, Sardegna e Europa, riaffiorato in Slovenia, svela particolari inediti e sorprendenti.
Stretta attualità
Con un primo elemento sconosciuto in terra sarda e non solo che riporta quel progetto alla stretta attualità di questi drammatici giorni: l’organismo europeo della rete dei gestori dei sistemi di trasmissione del gas (ENTSOG) aveva indicato nel suo piano la costruzione del metanodotto Algeria-Sardegna-Europa a partire dal 2020 per essere completato entro il 2022, compresa la messa in servizio. I dettagli del progetto sono tutti contenuti nel "Piano decennale di sviluppo della rete 2020" di ENTSOG che ricorda come nel 2010 la commissione europea avesse stanziato per quell’infrastruttura strategica una sovvenzione di 120 milioni di euro dal Programma energetico europeo per la ripresa. Nel piano strategico dell’organismo comunitario si afferma inoltre che la "disponibilità futura di nuovi fondi della Commissione Europea sarebbe una questione chiave per il successo del progetto." Le carte del dossier fanno emergere il ruolo strategico dell’opera nel contesto europeo, ancor prima della nefasta guerra d’Ucraina.
Il silenzio sullo stop
Le note a margine dei documenti in nostro possesso, però, fanno registrare da parte dell’organismo europeo l’assenza di una vera motivazione per lo stop all’infrastruttura. L’agenda di quell’opera, aggiornata in ogni suo dettaglio, lascia intravvedere un’amara constatazione messa nero su bianco: anche se la previsione di completamento dell’opera è prevista per il 2022 all’Agenzia non sono stati comunicati aggiornamenti. Come dire, quelli che dovevano farlo non l’hanno fatto. A conoscere bene il dossier è il numero due del Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, Paolo Gentiloni.
Spunta Gentiloni
Dal malloppo di documenti emerge una nota che riportiamo integralmente: «Nel 2015 è stata concordata una nuova partnership tra il Ministro degli Affari Esteri algerino Ramatane Lamamra e l'italiano Paolo Gentiloni per continuare lo sviluppo del gasdotto GALSI». E’ stata, forse, quella partnership siglata da Gentiloni, poi diventato premier, a riaprire negli uffici di Bruxelles il capitolo metanodotto. E’ chiaro che l’attuale scenario è destinato a modificare in termini strategici e radicali, almeno per i prossimi vent’anni, la geopolitica energetica in Europa e nel Mediterraneo. In questa chiave l’unica infrastruttura immediatamente cantierabile è proprio il Galsi, che potrebbe variare solo in due possibili nuove esigenze, quella dell’Europa di un incremento di volumi e della Sardegna di disporre di una dorsale moderna, la prima in Europa, realizzata con condotte hydrogen-ready, ovvero già pronte per il trasporto dell’energia più pulita e innovativa del futuro, l’idrogeno.
Due anni per l’opera
Nei piani europei dell’Agenzia delle reti è previsto un termine di due anni per realizzare l’infrastruttura diventata in un attimo strategica, in grado di accompagnare l’Italia, l’Europa e soprattutto la Sardegna ad una transizione ecologica realmente sostenibile che non strozzi, come stava già avvenendo, i cittadini e le imprese. È evidente che se l’Europa e lo Stato italiano non perseguiranno con la necessaria urgenza questo progetto, recuperando errori e il tempo gravemente perso nel passato, significherà che ancora una volta vinceranno le lobby energetiche da sempre vero ostacolo al progetto Galsi. L’Eni sosteneva che portare dieci miliardi di metri cubi di metano all’anno con il metanodotto dall’Algeria attraverso la Sardegna significava creare un bolla energetica.
Lobby & speculazioni
I fatti, la storia e il costo dell’energia, ancor prima della stessa guerra russa, avevano fatto emergere tutt’altro. I gestori dei metanodotti preferiscono l’ingordigia di prezzi speculativi e di qualche aumento di pressione nelle condotte esistenti pur di non consentire soluzioni serie e strategiche. Si tratta di capire quanto le istituzioni italiane ed europee sono sotto scacco delle lobby energetiche. In tempo di guerra bisognerebbe avere l’ardire di perseguire interessi collettivi e non quelli dei bilanci d’oro delle società di Stato e non solo.