L’introduzione di dazi del 30% sui prodotti europei da parte degli Stati Uniti dal 1 agosto – come annunciato dal presidente Usa Donald Trump – comporterebbe una riduzione dell'export italiano verso gli States di 12,4 miliardi di euro, con un impatto negativo di oltre 1 miliardo proveniente dal Mezzogiorno, mettendo a rischio circa 150.000 posti di lavoro.

È la stima – su dati Svimez – contenuta in una ricerca dell'Osservatorio “Evolution Forum Business School sulle PMI” su un panel di oltre 2000 micro e piccoli imprenditori (cioè con fatturato sino ad 1 milione di euro, e meno di 5 dipendenti).

E, secondo lo studio, «l’applicazione così drastica delle tariffe avrebbe un effetto drammatico per tutta l’economia ma a perdere Pil sarebbero più le regioni del Sud, in primis Sardegna, Calabria, Sicilia e Puglia».

«La lettera di Trump ai vertici dell’Unione Europea – viene sottolineato – ha impensierito non poco le Pmi italiane, specie quelle del Sud: infatti quando i dazi USA-UE fossero fissati al 30%, più di uno su due piccoli e medi imprenditori italiani stimano sarebbe una vera catastrofe con perdite fino al 36% sul fatturato delle proprie aziende entro fine anno, mentre se i dazi fossero al 10% ci si potrebbe ancora salvare. E l’incertezza delle trattative estenuanti tra USA e UE non aiuta certo la ripresa».

Per questo, «il tasso di preoccupazione resta molto alto e a soffrire maggiormente, secondo i leader delle nostre PMI, saranno un po' tutti, ma soprattutto le aziende del Sud (45%) e in particolare, come detto, quelle dell’Isola, della Calabria, della Sicilia e della Puglia».

In base alle stime dello studio «saranno indeboliti maggiormente i piccoli negozianti di paese (32,5%) che rischiano di chiudere per sempre i battenti, mentre la GDO e le grandi catene europee (15%) saranno in grado di difendersi».

Sempre secondo la ricerca effettuata dall'Osservatorio EFBS, se i dazi saranno al 30% più della metà degli imprenditori italiani (55%) stima una perdita di circa il 36% del proprio fatturato: «Una vera catastrofe per le PMI italiane».

La perdita – prosegue EFBS – sarà comunque del 18% qualora i dazi fossero invece fissati ad un più mite 10% sui prodotti UE (52,5%). In un clima di totale incertezza causata anche dalle estenuanti trattative tra USA e UE, praticamente nessuno vuole andare oltre e crede che si potrebbe arrivare a dimezzare il fatturato dell'azienda per cui lavora (meno dell'1%).

Per le PMI a seguito dei dazi «soffriranno tutti perché il commercio è globale» – è la riposta del 46% degli intervistati – ma le piccole attività commerciali, e quindi i negozi di paese, patiranno maggiormente (32,5%) rispetto alle grosse catene di supermercati presenti in tutta l'Europa (15%).

Una buona fetta del campione dà peso anche al settore d'appartenenza e risponde: «Molto dipenderà dal settore merceologico interessato dai dazi» (15%).

Non ci saranno differenze, invece, sulle conseguenze tra negozi in periferia e quelli del centro nelle città italiane (55%). Una prima soluzione che auspicano i piccoli e medi imprenditori italiani è la «fidelizzazione del cliente con azioni mirate»: la pensa così l'83,5% degli intervistati dall'Osservatorio EFBS.

(Unioneonline/l.f.)

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