Ci sono le parole e le opinioni, poi, però, la differenza la fanno i numeri. Quelli non manipolabili, severi e certificati, scanditi da una verità senza appello. Numeri che mai, nemmeno sotto tortura, potranno confessare il contrario di quel che rappresentano. E questa volta sono disarmanti, con una valanga di denari che rischiano di andar persi. Uno scacchiere dove lo Stato la fa da protagonista, capace di lasciare non spesi il 90% dei fondi a sua disposizione per lo “Sviluppo e la Coesione”. La Sardegna, però, in questa classifica di incapacità di spesa su questi fondi strategici, non è da meno, fermandosi abbondantemente sotto il 50% di quanto aveva a disposizione.

I numeri senza “gazzosa”

A Palazzo Chigi, dimora romana del Governo, ci sono più sale che uffici, dalla sala delle "Galere" a quella dei Mappamondi, dal Salone d’oro alla Sala del Consiglio dei Ministri. E, poi, c’è la burocrazia di Stato, quella infinita e prolissa, comitati e sottocomitati, dipartimenti e direzioni. Tra tutti, però, da sempre, da quando Aldo Moro, Presidente del Consiglio nel 1967 e Emilio Colombo, Ministro del Tesoro, lo istituirono, c’è un consesso dove passa il denaro di Stato, quello vero. Una sorta di consiglio di guerra per la spesa pubblica. Da allora, e sino a qualche mese fa, è sempre stato per tutti il Cipe, il Comitato interministeriale per la programmazione economica. La missione è inquadrata tra gli organi di “direzione politica” del Governo, non foss’altro per la sua composizione: presieduto dal Capo del governo con la presenza di ben 14 Ministri e un rappresentante della conferenza dei Presidenti delle Regioni. Il compito è quello di dare attuazione economica alle decisioni del Governo, soprattutto per quanto riguarda le macro questioni della programmazione infrastrutturale del Bel Paese e dare il via libera ai grandi progetti trasversali ai vari ministeri.

Il fallimento della spesa

Dopo 55 anni dal terzo governo Moro e poco prima dell’avvento di Draghi, il convivio di Palazzo Chigi diventa Cipess, Comitato interministeriale per la programmazione economica, con l’aggiunta di “Sviluppo Sostenibile”, giusto per non tradire la frivola e “gazzosara” innovazione delle parole. Negli anni, da centro decisionale, la programmazione di Stato, quella del Cipess, è diventata un’attività di “riciclo” di fondi, sempre gli stessi, con cambio di nome e destinazione. Il fallimento della programmazione è scandito proprio dalla continua “riprogrammazione” di quei fondi, un tocco di colore, di termini e sigle, per far dimenticare che quanto era stato pianificato poco prima si era già infranto nelle secche di piani mirabolanti campati per aria. Un mare magnum di fondi, tutti con un vincolo di spesa, poi trasformato, nell’emergenza del “non speso”, in accomodante ripiego per dilapidare a pioggia anche ingenti risorse.

Di tutto e di più

In realtà, nel Comitato ora ci passa di tutto e di più. Nell’ultima seduta, quella del 14 aprile, ci hanno infilato, per esempio, 2 miliardi per Contratti di sviluppo, programmi che finiscono molto spesso per regalare soldi a fondo perduto a imprese con le quali tentare di salvare attività decotte, oppure 60 milioni per la lotta agli incendi boschivi, o per non farci mancare il regalino emiliano, il progetto integrato della mobilità bolognese. Come se niente fosse, nella parte finale del dispositivo deliberativo della vigilia di Pasqua, il convivio interministeriale ha inserito un punto all’ordine del giorno destinato a passare sotto traccia. La codifica, del resto, non prevede niente di interessante: informative che non comportano adozione di delibera. Peccato, che dentro quell’informativa ci fosse la prima relazione annuale sull’andamento degli interventi dei Piani di Sviluppo e coesione, elaborata dal più potente dei Ministeri, quello dell’Economia.

Fotografia impietosa

Una fotografia impietosa, senza sorrisi e salamelecchi, tutto numeri e tabelle, comparazione di soldi stanziati, realmente disponibili, di impegni di spesa giuridicamente validi, ovvero atti amministrativi adottati, e poi la spesa effettivamente liquidata. Insomma, la legge dei numeri, quelli da nascondere se negativi, da esaltare se positivi. Numeri, però, inequivocabili, non manipolabili, fotografati a conti chiusi nell’ultimo esercizio finanziario. Sotto le forche caudine dell’aritmetica questa volta non ci sono solo le Regioni, ma anche i Ministeri di Stato. Il fotofinish della spesa pubblica inchioda la fine dell’anno 2021, ultimo dato del ministero retto da Daniele Franco, che del Comitato interministeriale è il vice Presidente.

Il doppio j’accuse

Il report da tenere sottotraccia nell’agenda del Comitato è un doppio j’accuse, per lo Stato e per quelle Regioni incapaci di spendere ingenti risorse destinate a infrastrutture e sviluppo. Ed è probabilmente la capacità, o meglio l’incapacità, di spesa dello Stato, peggiore di quella delle Regioni, ad indurre il silenziatore a quella relazione esplosiva, dalla quale emergono dati allarmanti. Basti un dato di comparazione tra Stato e Regioni, i Ministeri hanno impegnato meno del 50% di quanto avevano a disposizione, mentre la media delle Regioni si è fermata al 65%. Sui pagamenti va anche peggio per il governo di Draghi e i suoi predecessori: i dicasteri hanno speso appena l’8,9% mentre la media delle amministrazioni regionali è al 46,7%.

Stato peggio delle Regioni

Sui 12,8 miliardi che rischiano di restare non spesi, con conseguente definanziamento, 9 miliardi sono proprio in capo allo Stato. Con l’operazione di riorganizzazione della spesa dei fondi di coesione e sviluppo, i mille rivoli della spesa hanno finito per dare un quadro devastante della capacità di Stato e Regioni di portare a compimento i progetti pianificati anche dieci anni fa.

Milioni a rischio

Il quadro della Sardegna è un campanello d’allarme che va ben oltre la soglia di rischio per centinaia di milioni di euro che potrebbero essere persi da qui alla fine dell’anno. Il dato complessivo dei fondi ripartiti proporzionalmente con parametri territoriali assegnano all’Isola, per le ultime due programmazioni dei fondi di coesione, ben 5 miliardi di euro e due milioni. Di questi risultano “impegnati” 3 miliardi e 101 milioni, ovvero il 62% delle somme disponibili. Gli stanziamenti realmente spesi sono due miliardi e 63 milioni, il 41,2% dell’intero malloppo di soldi statali delegati alla Regione sarda per investimenti, compresi i progetti speciali.

Trasporti e ambiente

Sono i numeri degli impegni settoriali a scandire il quadro della reale situazione. Gran parte delle voci di spesa sono ben sotto il 50% delle somme a disposizione. Chi va peggio di tutti è la spesa per i progetti relativi all’energia: risultano spesi appena il 15,8% dei fondi disponibili, 125 milioni, nonostante gli impegni siano al 91%. Gli stanziamenti di partenza più rilevanti, però, si concentrano su due settori strategici per l’Isola, “Trasporti e Mobilità” e “Ambiente e Risorse naturali”. Nel primo caso, quello dei Trasporti, la Regione aveva a disposizione un miliardo e 852 milioni. Risulta impegnato un miliardo e 356 milioni, che corrisponde al 73,2%, mentre è stato speso meno della metà, esattamente il 49,1%. Per l’Ambiente e le Risorse naturali lo stanziamento di partenza era di un miliardo e 5 milioni, impegnati 604 milioni, il 60,1%, mentre risultano realmente spesi solo il 42,4% di quei fondi. Dati che, attribuiti a settori decisivi per lo sviluppo dell’Isola, non hanno bisogno di commenti. Numeri che parlano da soli.

Il tracollo dell’Istruzione

Sul piano strategico, vista l’importanza del comparto, il dato più sconfortante riguarda “Istruzione e Formazione”, ovvero l’investimento nelle future generazioni. I dati del report sono disarmanti. A fronte di oltre mezzo miliardo di euro disponibili, esattamente 527,77 milioni di euro, sono stati impegnati il 35,1% e spesi il 28,8%. Va meglio sul piano degli impegni, ovvero gli atti deliberativi giuridicamente precedenti alla spesa, la “Riqualificazione urbana”. Risultano in questo caso impegni validi per il 93,8% su una disponibilità complessiva di 294 milioni, mentre arranca la spesa, ferma ad appena il 42,9%. Sul fronte della “Competitività delle imprese”, a fronte di stanziamenti di 241 milioni, ne sono stati impegnati il 72% e spesi il 55,9%. Sul settore “Sociale e Salute”, con una disponibilità di 201,9 milioni, risultano risorse impegnate per il 72,3%, mentre la spesa è ferma al 40,8%.

La debacle tra Regioni

Infine, la comparazione tra Regioni, quelle del Nord con quelle del Sud, tra la Sardegna e il resto dell’Italia. Dati e numeri che difficilmente potranno trovare specchi sufficienti per arrampicate di sorta. Impietoso il confronto tra il 99,4% di spesa della Provincia autonoma di Trento, il 26% della Campania e il 45,1 della Sardegna. È la fascia alta della spesa che non lascia adito a dubbi: la maggior parte delle regioni del Nord sono sopra il 90% della spesa, 5 regioni, Campania, Calabria, Puglia, Sicilia e Sardegna, invece, sono sotto la soglia minima del 50%. Una disfatta del Sud e delle Isole che lascia aperto un capitolo disarmante, quello legato alla capacità (o incapacità) di programmazione della classe politica e dell’efficienza (o inefficienza) della pubblica amministrazione. A rischio ci sono centinaia di milioni di euro. Al giorno d’oggi sarà difficile chiederne e ottenerne altri, se non si sarà capaci di spendere quelli che già si hanno e non si utilizzano.

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