E' morto a 97 anni Cesare Romiti, il manager di ferro, uno dei grandi protagonisti del capitalismo italiano del '900. Uno dei manager più potenti della storia italiana.

Figlio di un impiegato delle Poste, si laurea in scienze economiche e commerciali e muove i suoi primi passi da manager a Colleferro, nel gruppo Bombrini Parodi Delfino.

Nel '70 viene chiamato in Alitalia, prima direttore generale, poi ad. Dal '74 entra in Fiat, sono gli anni di maggiore forza dei sindacati, della crisi energetica, del terrorismo. Si occupa di risanare finanziariamente l'azienda, rafforza gli insediamenti in Italia e ne sviluppa la dimensione internazionale, contribuendo, tra gli altri, alla realizzazione dello stabilimento brasiliano e Belo Horizonte, ancora oggi uno degli impianti automobilistici più grandi al mondo.

Nel 1976 diventa ad, e il 14 ottobre 1980, dopo 35 giorni di scioperi, arriva la marcia dei 40mila quadri della Fiat in piazza contro il sindacato.

Gli scontri con i sindacati sono all'ordine del giorno, e Romiti nel 1980 annuncia il licenziamento di 14mila dipendenti, con lo stabilimento di Mirafiori che viene bloccato per oltre un mese. Fiat torna a fare utili, poi arriva la Guerra del Golfo e inizia la crisi per l'azienda automobilistica.

Nel 1991 Romiti arriva a un passo dall'acquistare Chrysler (operazione che sarà portata a termine da Sergio Marchionne). Quando nel 1996 Gianni Agnelli lascia la presidenza di Fiat per diventarne presidente onorario, la guida passa proprio a Romiti, che ci resta per soli due anni.

Dal '98 al 2004 è presidente di Rcs. Negli anni 2000 diventa azionista di Impregilo e con la privatizzazione di Aeroporti di Roma entra nel business delle Infrastrutture.

In politica non ci è mai entrato: "Anche se avessi il desiderio di farlo non ne sarei capace, dico sempre quello che penso". Ma una tentazione l'ha avuta, si è presentata nelle vesti di Berlusconi che gli offrì di candidarsi a sindaco di Roma contro Walter Veltroni. Lui rifiutò e il Cav ripiegò su Tajani.

(Unioneonline/L)
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