Nicastri Vito, di Alcamo, a due passi da Castelvetrano, la terra di Matteo Messina Denaro. Sicilia profonda, con vista a mare. Contea di Palermo, a un tiro di schioppo da Trapani. In questa terra provata come poche dalla lotta di mafia è nato "il signore del vento", come lo ha definito il Financial Times , raccontando la storia di un elettricista con la passione delle pale eoliche. Da sistemare fili elettrici a montare grattacieli eolici che scalano le montagne il passo è breve. Un impero senza eguali, per un signor nessuno fattosi miliardario, in euro, a suon di autorizzazioni negate a tutti tranne a lui. Un vortice di affari inspiegabile, sul quale i vertici massimi dell'Antimafia puntano gli occhi sin dagli anni '90. Quelle concessioni eoliche stavano diventando giorno dopo giorno un fiume di denari senza precedenti. Dalla Sicilia alla Sardegna.

Lo sbarco nel Sassarese

Ha lo sguardo lungo il giovane Nicastri. Traguarda le isole e non disdegna lo sbarco nella terra di Ploaghe, a due passi da Sassari. Terra ventosa, sentenziano i suoi uomini. Prima che il secondo millennio finisca, lo sguardo su quei promontori diventa affare. Un progetto da 51 pale eoliche da piazzare sulla corona montuosa tra Ploaghe e Nulvi. Un business da oltre 6 milioni di euro all'anno di incentivi statali. Le maglie sono larghe. Tutto si può fare, figuriamoci per il signore del vento. Nessuno lo conosce e il via libera arriva indisturbato. Svettano per oltre 130 metri d'altezza le pale all'orizzonte del nord Sardegna, quello più colpito dalle foreste di ferro e dalle pale d'acciaio. Passano pochi anni, e uno tsunami devasta l'impero dell'uomo di Alcamo.

Il sequestro che dispone la Direzione distrettuale antimafia è un colpo al cuore. Un miliardo e trecento milioni di euro, uno sull'altro. È in quel momento che la Sardegna si risveglia con un faccia a faccia durissimo con le storie di mafia. Gli sequestrano di tutto e di più, compreso il parco eolico di Ploaghe. Centinaia di immobili, 43 società di capitali con partecipazioni estere e ingentissimi patrimoni, 60 rapporti finanziari e lussuosissime autovetture. In piena pandemia, ad aprile, la sua ultima condanna, in secondo grado: 9 anni di carcere. Gli contestano il concorso esterno in associazione mafiosa. Nella sentenza d'appello, però, si dice espressamente che non avrebbe dato soldi al boss di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro per favorirne la latitanza.

I Pubblici Ministeri di Palermo non ci stanno. Vanno su tutte le furie per la sentenza e la impugnano in Cassazione. Con la testimonianza di un pentito, accusano Nicastri di aver fatto arrivare una busta piena di soldi proprio a Matteo Messina Denaro.

Denaro sporco

Da quando le pale delle energie rinnovabili hanno cominciato a girare, le mafie hanno strambato per prendere in pieno l'uragano di denaro legato a eolico e fotovoltaico. I soldi di mafia, da riciclare a buon mercato in pale alte come grattacieli nella Grande Mela, sono una torta da spartire ai massimi livelli. Una volta aperto il fronte le proposte sono le più disparate. In Sardegna le pale eoliche puntano anche al mare. Sotto attacco finisce la costa oristanese. Il gioco si fa sofisticato. Inizia lo sbarco delle società anonime lussemburghesi. Un castello di scatole cinesi, con capitali indecifrabili, triangolazioni estero su estero. E soprattutto capitali sospetti. Nell'estate del 2004, Ciancimino (figlio dell'ex sindaco di Palermo condannato per mafia) investì un milione e 900 mila euro sulla Kaitech Spa. Incroci di denari che finiscono direttamente nella società che si candida a piazzare le pale eoliche a Is Arenas, davanti a S'Archittu. La Commissione antimafia aprirà un indagine. Le Procure metteranno a soqquadro gli intrecci finanziari. Il progetto crollerà sotto i colpi dell'opinione pubblica. Non se ne farà niente.

I precedenti

La passione per il vento di Sardegna non si esaurisce mai. La Direzione investigativa antimafia ha lo sguardo lungo. Ci sono i precedenti, di primo piano, con uomini legati ai vertici massimi di Cosa Nostra e soprattutto, secondo la Dia, c'è il futuro. Nell'ultima relazione del 2018 sulla lotta alla mafia, nel capitolo Sardegna, lo scrivono senza fronzoli: «Si rammenta che una particolare attenzione deve, poi, continuare ad essere posta al settore delle energie rinnovabili, e nello specifico agli impianti per la produzione dell'energia eolica che, richiedendo investimenti particolarmente significativi, si prestano al riciclaggio di capitali di origine illecita, e possono consentire l'accesso a finanziamenti pubblici o comunitari».

Occhi aperti, dunque, dice l'Antimafia. E del resto non potrebbe essere diversamente vista la montagna di denari che si sta ogni anno riversando nelle tasche di quei tanti signori del vento. In Sardegna svuotano le sacche di denaro pubblico senza lasciare niente. Qualche elemosina ai comuni, posti di lavoro con i binocoli e bollette elettriche da pagare a caro prezzo.

I dati sono lo specchio del vento che soffia. Nell'isola, elaborando i dati del Gse, il gestore elettrico dello Stato, si arriva a calcolare l'ammontare del bottino eolico. Cinquecentonovantadue pale per 1.054 MW di energia prodotta e pagata. Incentivi che si sovrappongono, dagli ex certificati verdi alla vendita di energia. Ogni anno in Sardegna i signori delle pale si portano via quasi 149 milioni di euro. In vent'anni, durata media degli incentivi, la montagna di denaro cresce a dismisura: quasi tre miliardi di euro, 2.977 milioni.

I progetti

E non gli bastano mai. L'obiettivo è quello di incamerare altro vento di Sardegna, sino a 2.100 MW entro il 2030. Praticamente raddoppiare il colpaccio. I progetti non mancano, anzi. E i nomi sono sempre gli stessi, con qualche nuovo arrivo. Dalle multinazionali dell'Enel e dell'Eni, sempre alla ricerca di denaro pubblico, senza niente in cambio, passando per la Fri-el di Bolzano alla EDF francese. E poi lo sbarco dei colossi Siemens & Gamesa, danesi e spagnoli, insieme alla conquista di Punta Gomoretta, tra Bitti e Orune.

Nella grande corsa al nuovo eolico si affaccia anche la Erg, la Edoardo Raffinerie Garrone. Per loro il passaggio dal petrolio al vento è in grande stile. Il progetto lo presentano senza grandi annunci alla cajenna della valutazione d'impatto ambientale. Ministero dell'Ambiente, forche caudine per i progetti che volano alto. Ora che sono i proprietari del parco eolico di Ploaghe, tentano la scalata alle vette del cielo. Si presentano con i migliori intenti, quasi a cancellare la storia nefasta di quella foresta di pale eoliche. Ma non sono benefattori. Pianificano lo smantellamento delle 51 pale, prossime al ventennio, sistemate nelle cime del centro sassarese, tra Ploaghe e Nulvi. Le vogliono sostituire con grattacieli imponenti. Mostri da 180 metri d'altezza rispetto a quelle precedenti da 76 metri. Cento metri in più sull'orizzonte della Sardegna del nord. Le più alte di sempre. Più alte e molto più potenti.

Quelle degli anni 2000 avevano una potenza di 0,85 MW. Le nuove saranno degli ippopotami appoggiati sul cielo del Logudoro, con 4,5 MW di potenza per ciascuna pala. Il gioco è fatto. Le vecchie 51 pale producevano 43 MW, le nuove 27 ne produrranno 121. I conti dell'operazione sono presto fatti. Il pallottoliere si fa totalizzatore. Se mai dovesse passare il nuovo progetto i signori della Erg si metteranno in tasca la bellezza di 17 milioni di euro all'anno, contro i 6 milioni precedenti. E la Sardegna e i sardi continueranno a pagare a suon di bollette senza ritegno.

Ci sono osservazioni al progetto, comprese quelle della Regione, che ricorda che quei grattacieli a due passi dai duecento metri d'altezza sono a 40 km e passa dagli aeroporti di Alghero e di Olbia. Quando si vola alto servono le autorizzazioni anche dell'Enac. Il progetto è fermo, la pandemia per il momento lo ha bloccato.

Affari in Barbagia

Dalle vette di Ploaghe e Nulvi a quelle di "Punta Gomoretta" e "Fruncu Sa Capra", nei comuni di Bitti e Orune, nel cuore della Barbagia. Il progetto è bloccato da mille contestazioni ma la storia anche qui si ripete. I padroni del vento non guardano in faccia a nessuno. Pur di scalare le vette della Sardegna sentenziano: «La società ha deciso di ubicare il Parco eolico nell'area prescelta per la sua configurazione di non pregio ambientale-paesaggistico». Dunque, per lor signori i crinali della Barbagia, nel cuore della Sardegna, non valgono niente e sono da annientare a colpi di pale eoliche ciclopiche. Se ne fregano dei pascoli, delle aziende agricole. Ignorano le proteste del comitato di Santu Matzeu. A tutti i costi vogliono piazzare su quelle montagne intonse le loro 13 gigantesche pale. Tutte in bella vista sui crinali di Bitti e Orune. Operazione da 45 MW, altri 11 milioni di euro all'anno di soldi pubblici nelle tasche della Siemens Gamesa Renewable Energy direttamente in Spagna e Danimarca, con il vento di Punta Gomoretta. A un tiro di schioppo da Pratobello.

Mauro Pili

(Giornalista)
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