"Un giorno mi ha dato uno schiaffo, poi si è messo a piagnucolare e l'ho perdonato. Un'altra volta me ne ha dati due e mi ha supplicato, giurandomi che non sarebbe mai più successo. Poi è passato ai pugni, ai calci". Il punto di non ritorno: "Ho preso mio figlio e me ne sono andata. Non mi ha più vista".

Silvia, coi suoi ventinove anni e una famiglia dove trovare sicurezza e tranquillità, ha avuto la forza di tirarsi fuori dalle grinfie dell'orco, dalla spirale di violenza senza controllo. Purtroppo non hanno avuto il tempo e la stessa fortuna Cinzia, Valentina, Miriana, Zinaida, Erika. E poi Gloria, Elisa, Imen, Norina, Augusta: sono alcune delle quasi cento donne morte in Italia nel 2019 sotto la mano di un carnefice che prende forma dentro casa, quasi sempre dall'altra parte del letto.

Dal Palermitano arriva la notizia della spietata esecuzione di Ana Maria Lacramioara, trentenne massacrata dall'amante Antonino Borgia assieme alla creatura che portava in grembo.

In questa lista gelida c'è anche Romina Meloni, 49 anni, di Ozieri, uccisa a Nuoro, a fine marzo, a colpi di pistola dal compagno Ettore Sini, da cui si era separata. E c'è Susanna Mallus, 55 anni, massacrata con venti coltellate dal fratello Massimiliano durante un litigio a Quartu, il 28 giugno, per una questione di eredità di famiglia.

Gelosia, possesso, invidia, prevaricazione: uomini che odiano le donne, la piaga dilania l'Italia da Nord a Sud, fino alla Sardegna, attraversando tutte le classi sociali ed economiche.

L'Italia ma anche il resto del mondo. In Europa ci sono i record negativi di Lettonia, Lituania, Ungheria e le percentuali altissime nell'inattesa Germania.

La matrice è sempre inquietante e uguale a se stessa: un marito, un compagno, un ex fidanzato incapaci di accettare e rispettare la libertà e l'indipendenza delle donne.

Silvana Maniscalco, presidente dell'associazione Donna Ceteris (foto L'Unione Sarda)
Silvana Maniscalco, presidente dell'associazione Donna Ceteris (foto L'Unione Sarda)
Silvana Maniscalco, presidente dell'associazione Donna Ceteris (foto L'Unione Sarda)

"Purtroppo c'è ancora tanto da fare, come dimostra la storia paradossale della figlia di Dina Dore, che rischia di vedere perso il proprio risarcimento, anche se il padre, Francesco Rocca, le ha portato via la madre", spiega Silvana Maniscalco, presidente dell'associazione Donna Ceteris di Cagliari. "Finora è saltata fuori solo la punta di un iceberg fatto di cattive abitudini, di rapporti malati e di un sommerso culturale ancora difficili da estirpare. Il problema è che in Italia, in Sardegna, si guarda ancora troppo all'emergenza, con misure specifiche legate ai casi estremi, mentre si entra poco nel merito, nella sostanza che riguarda la vita quotidiana della nostra società. Serve un approccio più strutturale contro la violenza di genere, che parta dalle scuole di ogni grado, persino da quelle primarie, dove si insegni ai bambini il rispetto reciproco".

Femminicidio non è solo morte, ma anche la violenza che troppo spesso accompagna la vita delle donne: si calcola che in Italia almeno una su tre riceva un atto di aggressione fisica da parte di un uomo nell'arco della vita. Quasi sempre individui di famiglia.

I numeri dell'Istat sono impietosi: delle 123 donne uccise nel 2017, l'80,5% è stata vittima dell'aggressione da parte di una persona conosciuta. In particolare, nel 43,9% dei casi, la mano assassina è del partner attuale o del precedente, nel 28,5% c'è di mezzo un familiare (inclusi figli e genitori) e nell'8,1% è coinvolto un conoscente (amici, colleghi). Negli omicidi di uomini i numeri sono totalmente diversi. Il 75 per cento dei delitti vede coinvolti assassini sconosciuti o non riconducibili alla vittima, mentre sono residuali quelli maturati nella cerchia familiare o delle conoscenze abituali. I maschi uccisi nel 2017 dalla partner attuale o dalla ex non superano il 3 per cento.

Diletta Mureddu, responsabile del centro antiviolenza della Cgil sarda (foto L'Unione Sarda)
Diletta Mureddu, responsabile del centro antiviolenza della Cgil sarda (foto L'Unione Sarda)
Diletta Mureddu, responsabile del centro antiviolenza della Cgil sarda (foto L'Unione Sarda)

"Troppo spesso si continua a pensare che il male e i pericoli arrivino da fuori, magari da oltremare", fa notare Diletta Mureddu, responsabile del centro antiviolenza della Cgil sarda. "Invece il peggior nemico per una donna rischia di prendere forma dentro casa. Negli ultimi anni si è fatto qualche passo avanti, magari con leggi ad hoc, come il Codice rosso, la lotta al revenge porn, però ancora non è abbastanza: ci si concentra molto sulla violenza quando si manifesta, ma si investe ancora poco sulla formazione, sulla prevenzione".

Secondo la psicologa cagliaritana si fa fatica a "uscire dalla cultura patriarcale del potere dell'uomo sulla donna. Non è un caso che le massime manifestazioni di violenza, le aggressioni brutali, gli omicidi avvengano quando le donne decidono di separarsi, quando vogliono affermare la propria indipendenza. Esiste ancora una sottocultura in cui il maschio non accetta di non esercitare il potere, anche fisico, su quello che considera un oggetto di proprietà".

Patria, Minerva e Maria Teresa Mirabal, uccise nella Repubblica Dominicana il 25 novembre 1960 (foto album di famiglia)
Patria, Minerva e Maria Teresa Mirabal, uccise nella Repubblica Dominicana il 25 novembre 1960 (foto album di famiglia)
Patria, Minerva e Maria Teresa Mirabal, uccise nella Repubblica Dominicana il 25 novembre 1960 (foto album di famiglia)

SCARPE ROSSE - Il 25 novembre è diventato così (dal 1999) il momento della riflessione, la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne. La data non è stata scelta dall'Onu a caso. Proprio quel giorno di autunno, nel 1960, nella Repubblica Dominicana, si consumò il martirio di tre giovani donne, le sorelle Mirabal: Patria, Minerva e Maria Teresa, soprannominate Las Mariposas, le farfalle. Belle, benestanti, colte, indipendenti, con una "colpa" imperdonabile: non volevano piegarsi alla logica feroce del dittatore Rafael Trujillo, che in trent'anni di potere avrebbe fatto uccidere almeno trentamila oppositori. Anche le tre sorelle Mirabal furono assassinate, ma la loro tragedia si è trasformata in un marchio di lotta: sono diventate l'icona della libertà e del contrasto alla violenza.

Elina Chauvet, l'artista messicana che nel 2012 ha dato vita all'allestimento delle scarpe rosse come simbolo della lotta contro i femminicidi (foto album personale)
Elina Chauvet, l'artista messicana che nel 2012 ha dato vita all'allestimento delle scarpe rosse come simbolo della lotta contro i femminicidi (foto album personale)
Elina Chauvet, l'artista messicana che nel 2012 ha dato vita all'allestimento delle scarpe rosse come simbolo della lotta contro i femminicidi (foto album personale)

Il 25 novembre è anche il giorno delle Scarpe rosse, simbolo ormai diffuso in tutto il mondo dopo l'idea di un'artista messicana: nel 2012 (una mattina di luglio) Elina Chauvet creò un'installazione pubblica davanti al consolato messicano di El Paso, in Texas, per ricordare le centinaia di donne uccise a Juarez, nel cuore delle guerriglie del Chiapas: rapite, stuprate, strangolate, mutilate, fatte sparire nel deserto, l'ennesima, terrificante testimonianza della violenza maschile. Da una parte all'altra del pianeta il filo conduttore resta costante. C'è un maschio sempre più incapace di accettare l'emancipazione, la libertà, l'indipendenza, il riscatto, la cultura, la preparazione della donna. Resta solo un appiglio: la forza fisica, la violenza bruta e animalesca. Che le scarpe rosse brillino dappertutto, che gli uomini chiedano scusa.
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